Torino - Ipotesi d’accusa: evasione fiscale. Anche l’allenatore dell’Inghilterra Fabio Capello è entrato nell’elenco non breve dei personaggi dello sport italiano finiti nei pasticci per la disinvoltura di cui danno prova al momento di pagare le tasse. L’indagine, condotta in gran segreto dalla Procura della Repubblica di Torino, è solo agli inizi. Ma la direzione che ha preso è già sufficientemente chiara: sotto tiro sono i compensi in nero che «don Fabio» avrebbe percepito dirottandoli su alcune società estere a lui riconducibili. In particolare ad incuriosire la Procura sarebbero i contratti di sponsorizzazione di Capello, uno dei canali più classici utilizzati dai protagonisti dello sport per aggirare il fisco.
Il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello ha disposto nei giorni scorsi una serie di accertamenti sulle attività economiche del tecnico. Lo spunto iniziale riguarderebbe - secondo una ipotesi verosimile - i compensi «paralleli» percepiti da Capello quando, nelle stagioni 2004/2005 e 2005/2006, sedeva sulla panchina della Juventus; i bilanci di quegli anni della società bianconera sono d’altronde già sotto tiro da parte della magistratura, che ha interrogato su questo tema sia Luciano Moggi che Antonio Giraudo (quest’ultimo si è avvalso della facoltà di non rispondere) e ha già individuato pagamenti irregolari. Ma non è detto che l’inchiesta non si possa estendere ai periodi precedenti - quando Capello guidava la Roma e il Milan - e a quelli successivi, quando dopo l’esplosione dell’affare Moggi e le dimissioni dalla società bianconera Capello si era trasferito al Real Madrid.
Non ci sono dettagli precisi, ufficialmente non risulta ancora che il 61enne allenatore friulano sia stato raggiunto da avvisi di garanzia. Ma è evidente che l’indagine della Guardia di finanza torinese rischia di creare qualche imbarazzo a Capello nella sua nuova veste di allenatore della nazionale inglese, la cui guida gli è stata assegnata poco più di un mese fa. Un ruolo - quello di coach dei bianchi d’Albione - tenuto sotto stretta osservazione dai mass media, in un Paese dove l’indulgenza verso le disavventure giudiziarie scarseggia (un ministro dell’ultimo governo Blair si dovette dimettere per avere accelerato la pratica del permesso di soggiorno della colf).
Non è la prima volta, a dire il vero, che Capello si ritrova a fare i conti con la magistratura: e anche la prima volta i problemi nascevano da operazioni messe in campo per risparmiare sulla dichiarazione dei redditi. La Procura di Como aveva scoperto infatti che il pluridecorato tecnico di Pieris si era inventato una residenza fittizia a Campione d’Italia, l’enclave in territorio elvetico che gode di alcune agevolazioni fiscali, con la complicità di Roberto Salmoiraghi, sindaco della cittadina. I due erano stati entrambi incriminati, Capello se l’era cavata patteggiando la pena, Salmoiraghi è stato di recente condannato a sei mesi.
Un trucco, quello della residenza fasulla, piuttosto rudimentale. Invece la nuova indagine condotta dalla Procura di Torino a carico di Capello ha per oggetto un sistema piuttosto evoluto di società di facciata, scatole vuote destinate unicamente a fare transitare ingenti importi. Il «sistema Capello», d’altronde, è un sistema piuttosto complicato anche nella sua parte ufficialmente nota. Oltre vent’anni di ingaggi di primo piano hanno fatto di «don Fabio» un’azienda che produce un fatturato di tutto rispetto. A tenere le fila del business è una società piazzata in un classico paradiso fiscale, il Capello Family trust con sede a Guernsey, nel canale della Manica.
Il Capello family trust - secondo un’inchiesta dell’Espresso del novembre 2005 - controlla il 100 per 100 di una società lussemburghese che si chiama Sport 3000 e che firma i contratti «per la somministrazione di prodotti a firma Fabio Capello», e che in questa veste gestiva i rapporti con la As Roma ai tempi della panchina giallorossa; i proventi della Sport 3000 finiscono in parte in un fondo di investimento irlandese, in parte in operazioni immobiliari. A Guernsey la società di don Fabio si appoggia alla stessa banca cui si appoggiano altri due italiani noti alle cronache, il patron del Genoa Enrico Preziosi e l’immobiliarista Stefano Ricucci. D’altronde anche in Italia gli affari di Capello, Preziosi e Ricucci sono governati dallo stesso consulente.
Di imprese in comune tra Capello e Ricucci non c’è traccia; invece con Preziosi il tecnico friulano si è messo anche in affari, investendo qualche tempo fa un buon gruzzolo nella holding che controlla la Giochi Preziosi: la partecipazione di Capello passava attraverso la F.C. srl, la società - controllata al 100 per 100 dalla Sport 3000 lussemburghese - affidata ad uno dei figli del neo-coach inglese, Edoardo Capello.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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