
«Lo capisco, perché indubbiamente è difficile da spiegare ai cittadini come, dopo un omicidio, la condanna sia di 14 anni e, dopo non molti anni, il condannato possa uscire...».
E il giorno dopo quel tragico volo che ha lasciato sul cemento, inerme, a pochi passi dal sagrato del Duomo, il corpo senza vita di Emanuele De Maria e che ha messo fine ad una storia a cui si cerca di dare una spiegazione, i dubbi e le domande del sindaco Giuseppe Sala sono gli stessi di tanti, se non di tutti. Il giorno dopo resta lo sgomento per una storia assurda. Restano la morte di Chamila Wijesuriya, la 50enne cingalese ritrovata cadavere tra la boscaglia del Parco Nord, le coltellate al collega barman dell'Hotel Berna, ferito a morte ma fortunatamente salvo, la cella vuota del carcere di Bollate da cui il 35enne napoletano usciva per andare al lavoro mentre stava scontando una pena di omicidio in regime di articolo 21. «Queste sono le leggi però, per cui non saprei neanche che commento fare- continua il sindaco- Certamente, è una faccenda molto cruenta...».
Una storia che, da qualsiasi parte si prenda, si fa fatica a comprendere e spiegare. Sul cemento di piazza Duomo il corpo senza vita di De Maria non racconta solo la sua fine ma anche quella di un percorso di riscatto, dopo un omicidio di una ragazza tunisina nel 2016 a Castelvolturno nel Casertano, che ritorna tragicamente al punto di partenza. Un dramma che racconta di un Pm che conferma «che aveva un piano per uccidere»; di una indagine che cercherà di chiarire il movente, gli ultimi spostamenti, le ore della fuga, dall'aggressione all'hotel di sabato mattina al momento in cui De Maria è salito in cima al Duomo per lanciarsi. Il suo cellulare non ancora stato trovato e potrebbe esserci la spiegazione di tante cose.
Il giorno dopo restano soprattutto una indagine del Ministero di Giustizia «per verificare le procedure che gli hanno permesso di uscire dal carcere per lavorare come receptionist» e le parole del suo avvocato che spiega come «mai avesse dato segni di squilibrio, che meritava quel lavoro, che è successo l'inimmaginabile». Ma resta anche la paura di chi nelle carceri lavora, come l'associazione Antigone, che un fatto di cronaca possa mettere in discussione strumenti come le misure alternative alla detenzione che riducono sette volte su dieci la recidiva rispetto a chi sconta la pena in cella.
Poprio ieri è stata presentata una interrogazione parlamentare all'attenzione dei ministri della Giustizia Nordio e dell'Interno Piantedosi: «C'è sempre una certa magistratura buonista troppo morbida nei confronti di alcuni carcerati- spiega il deputato di Fdi Riccardo De Corato- Accolgo con piacere questo faro del ministero di Grazia e Giustizia su una delicata questione come questa».