(...) Allora intervenne il Garante della privacy per bloccare la diffusione via internet, ma oramai la frittata era fatta e i dati girano ancora oggi tra internet e programmi P2P. Da allora è stata fatto un voto in parlamento (sempre nel 2008) nel quale il Governo si è impegnato a rivedere i tipi di dati pubblicabili, ma ad oggi non si è ancora giunti ad una conclusione e vige di conseguenza sempre il decreto Ferrara. Che va oltre al divieto di diffondere i dati on line e offre la sponda a chi vuole impedire qualsiasi accesso agli elenchi dei contribuenti.
Apparentemente già così sembrerebbe una vicenda complicata, ma in verità lo è ben di più. Per arrivare a ciò basta prendersi la briga di andare a chiedere ad un ufficio dell'Agenzia dell'Entrate di consultare la dichiarazione dei redditi di qualche privato.
Vi avviso subito che non si riesce, perlomeno qui a Genova e in assenza di un legittimo interesse (il diritto di cronaca, come già detto, non vale), ma prendendo come spunto l'iter che mi è toccato seguire (a vuoto), diventa più facile capire le contraddizioni che dominano in materia. Giovedì pomeriggio mi reco di persona negli uffici dell'Agenzia delle Entrate di piazza Carignano e formulo la mia richiesta all'operatrice che, non sapendomi rispondere, mi mette in contatto con la direzione dell'ufficio regionale di via Fiume. La mia richiesta non viene accettata e anzi, mi viene detto che non esiste modo legale per ottenere le dichiarazioni dei redditi dei privati e che, se ci dovessi riuscire, sarebbe solo per vie illegali. Incasso il colpo con qualche sospetto e giunto a casa inizio a scartabellare leggi, siti (Agenzia delle Entrate e Garante della privacy) e a fare chiamate all'ufficio stampa del Garante per vederci chiaro. Da nessuna parte trovo conferma sull'illegalità della mia richiesta e anzi, sempre leggi alla mano, per motivi giornalistici non dovrei avere il minimo problema ad ottenere quei dati quale fine per l'esercizio del diritto dovere di cronaca (l'articolo 21 recita chiaro: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»). Venerdì mattina mi reco, con tanto di carte appresso, nella sede centrale dell'Agenzia dell'Entrate in via Fiume, dove vengo gentilmente ricevuto da Doriano Saracino dell'ufficio del Direttore Generale. Esposti i miei dubbi, mi viene confermata l'impossibilità di accedere a quei dati per i seguenti motivi: dal 2003 non esistono più gli elenchi, ogni operazione di consulta è legata ad un log-in che deve essere giustificato e soprattutto una «errata interpretazione» della legge 600/73 (quella sulla pubblicazione degli elenchi). Legittimi e veritieri i primi due motivi, ma il terzo mi lascia più di un dubbio. Ricomincio così il mio tam-tam con il Garante della privacy e questa volta anche con la sede nazionale di Roma dell'Agenzia dell'Entrate. Dall'ufficio stampa della sede romana dell'ente pubblico, una volta esposti i miei dubbi, mi viene confermato che a livello legislativo non ho impedimenti a consultare quei dati, facendo leva sul fatto che «gli elenchi sono consultabili da chiunque presso comuni interessati e uffici dell'Agenzia competenti territorialmente, ai fini di un loro legittimo utilizzo anche per finalità giornalistiche». Inoltre mi viene garantito che con «elenchi nominali», oggetto della disputa sulla diversa interpretazione, si intende come minimo: nome, cognome e reddito dichiarato. Nel dubbio, dopo aver cercato invano una sezione apposita sul sito internet, decido di telefonare al Comune di Genova per vedere se esistesse un loro ufficio apposito per la consultazione degli elenchi. La risposta che mi arriva è negativa, in quanto mi viene detto che nei comuni grandi come Genova viene affidato tutto all'Agenzia delle Entrate.
La tanto decantata trasparenza è quindi solo un'illusione e, a quanto pare, per conoscere i redditi degli italiani servirà un nuovo Julian Assange.
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