Tutto fa brodo: anche una spruzzata di buoni sentimenti e di buone intenzioni. Vuoi mettere. E allora di gran carriera l’aula di Palazzo Madama ha istituito la Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani. Boom. Voltaire e Rousseau non avrebbero fatto di meglio e il Senato si è allineato alla richiesta pressante che veniva dall’Onu. Peccato che il voto trasversale ed ecumenico porterà altre spese per le casse già disastrate dello Stato: quasi 2 milioni di euro solo il primo anno.
La Commissione, in pratica un’authority, sarà l’ennesimo carrozzone, un distributore di poltrone e di prebende in automatico come la macchinetta per il caffè, servirà per piazzare qualche parlamentare in cerca di gloria.
Il tema naturalmente è delicato. E l’idea di fondo è sacrosanta. Ma qualcosa non quadra: era dal 1993 che il Palazzo di Vetro chiedeva al nostro Paese di fare un passo. Combinazione, adesso che si comincia a parlare di tagli, di sforbiciate alle spese dei deputati e dei senatori, di riduzione dei privilegi della casta, proprio adesso si pensa di colmare questo buco. E il Senato si esalta, manco dovesse approvare la dichiarazione dei diritti dell’uomo. Tutti d’accordo, destra e sinistra, senza se e senza ma a promuovere un fumosissimo organismo che dovrà monitorare il rispetto dei diritti umani in Italia. Figurarsi.
Eppure il nascente carrozzone viene dipinto come la panacea di tutti i mali: dalle parti del Pd si sente dire che se già dieci anni fa ci fosse stata la Commissione, non ci sarebbe stato lo scempio del G8 a Genova e la morte di Giuliani e le violenze alla caserma Diaz. Non solo: altre voci spiegano all’emiciclo imbambolato che la Commissione metterà il naso nelle carceri - dove en passant già lo mettono i consiglieri regionali, i senatori, i deputati, garanti vari, volontari e magistratura - e questo sarà il segnale di civiltà che tutti attendevano.
Applausi. Applausi. E ancora applausi. Solo Giuseppe Valditara, il severo professore di diritto romano, si alza e va dritto al punto: «Questo disegno di legge credo debba essere rivisto sul versante dei costi: quasi due milioni di euro». Due milioni di euro di questi tempi magri e il sospetto, atroce quanto una violazione dei suddetti diritti, che la Commissione più che altro irrobustirà i compensi di qualche parlamentare particolarmente sensibile. Spiega Valditara: «In un momento in cui si chiedono sacrifici agli italiani mi sembra inopportuno pagare un Presidente di questa commissione ben 237mila euro, i consiglieri 158mila, le spese per missioni e consulenze 270mila, le spese per le riunioni del Consiglio 75mila euro».
Certo, i diritti dei più deboli premono, ma premono anche i portafogli dei senatori. E per cosa poi? «Laddove vi sia la violazione dei diritti umani - prosegue il senatore di Fli - già ci sono autorità preposte a sanzionarle. Penso ad esempio alla magistratura. (...) E poi le nostre istituzioni scolastiche e culturali (...) già svolgono adeguatamente compiti di formazione».
La Commissione sarà un doppione di altre realtà e dovrà farsi largo a gomitate in un affollato parterre. «Con l’istituzione di un’autorità per i diritti umani - ribatte Pietro Marcenaro del Pd - rinunciamo ad una parte della nostra sovranità nazionale: l’autorità infatti non risponderà solo al diritto interno ma anche a quello internazionale, quale si forma attraverso i documenti e le sentenze delle Nazioni Unite, della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte penale internazionale».
Tutti insieme, dunque, appassionatamente in un’aula che sembra un format gandhiano.
Alla fine l’authority passa a valanga con solo cinque astensioni (che al Senato equivalgono al voto contrario): in testa proprio Valditara. Ora manca l’ok della Camera, poi lo Stato potrà staccare l’assegno. E cercare una sede e gli addobbi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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