Tra ex e occasioni mancate

Immaginateli tutti con la maglia dell’Inter. Poteva essere e non è stato. Chissà, magari Moratti potrebbe risfogliare l’album dei suoi ricordi e ritrovarci il Milan di oggi. O vedere l’Inter che non c’è. Parliamo di derby e di questo Milan. I sei nomi più gettonati del suo attacco (d’accordo, l’ipotesi più azzardata) hanno tutti in comune qualcosa di interista.
Par di sentire i mugugni: è la solita storia, ma quanti ne sono passati dall’Inter? Se fossero rimasti tutti, non sarebbero arrivati altri assi. Ora che l’Inter ha fatto “triplete“, non c’è più rimpianto che tenga. Vero, anche perchè Mourinho, per esempio, non sarebbe stato in grado di gestirli tutti insieme, come toccherà ad Allegri. Quindi accettazione preventiva di tutte le obiezioni, ma il giochino è divertente.
Allora ecco i nomi: Pirlo-Seedorf-Pato-Ronaldinho-Robinho-Ibrahimovic. E andiamo a dipanare il rebus. Qualcuno c’è stato, qualche altro poteva arrivarci. Pirlo, Seedorf, Ibrahimovic sono tre “ex“. E, bisogna riconoscere, tutti ben tenuti. Hanno resistito all’usura del tempo. Pirlo passò all’Inter in due periodi, nella stagione ’98-’99, eppoi nel 2000-2001. Seedorf ci ha messo piede per tre anni (1999-2002). Ibrahimovic se n’è andato l’anno scorso con le sceneggiate che tutti sappiamo.
Gli altri tre hanno in comune lo steso destino: visti, valutati, scartati. Pato è stato un pallino di Roberto Mancini. L’ha scoperto prima del Milan (che lo ha acquistato nel 2006-07), lo ha consigliato all’Inter in tutti i modi, proprio nel periodo in cui aveva adocchiato anche Hamsik e Yaya Tourè. Non c’è stato verso. La società di Moratti stava, secondo abitudine, pensando già a un cambio d’allenatore e se lo è lasciato sfuggire, pur consapevole della bontà del giocatore. Mancini aveva intravisto in lui, e in Balotelli, l’attacco del futuro interista. Moratti ha smontato pezzo a pezzo il castello di idee.
Ronaldinho poteva essere nerazzurro in tempi che ormai sembrano appartenere all’era paleozoica. Dinho giocava nel Paris Saint Germain (2001-2003) e il presidente nerazzurro, da buon intenditore, si era interessato al pezzo da vetrina. Non ci sarebbe stato problema per l’acquisto ma, poi, qualcuno lo ha messo sull’avviso circa i problemi caratteriali e comportamentali. Ed allora il patron ha lasciato perdere e Dinho è finito al Barcellona.
Il caso Robinho è stata, invece, una toccata e fuga. Giocava nel Santos (2002-2005), soprannominato O rei do drible, cercava un futuro nei campionati europei, avendo bruciato le tappe in Brasile. Venne offerto all’Inter che, però, aveva già messo in cantiere Adriano, acquistato eppoi prestato. «Oramai puntiamo su Adriano», disse un dirigente nerazzurro a chi gli propose l’affare. In quel momento una valutazione da sottoscrivere. Invece Adriano tradì tutti e Robinho s’imbarcò verso Madrid e Manchester tra alterne vicende. A Madrid visse buona (e bella) vita, finchè Capello non lo spedì in panchina. Il percorso inglese cominciò subito con un rovescio: credeva di andare al Chelsea, finì a Manchester quasi a sua insaputa. «Sono molto contento di essere un giocatore del Chelsea», dichiarò, avendo appena firmato con il City.
E quando Robinho ha incrociato Mancini è stato un diluvio. Per il vero, l’ex tecnico interista era andato a Manchester convinto di trovare in lui e Tevez due giocatori da fuochi d’artificio: quelli a cui non rinuncerebbe mai. Insomma ci credeva. Invece Tevez si è dimostrato campione bizzoso, ma doc, Robinho un Recoba più magro, fors’anche meno devastante nei comportamenti.

Spedito via. Oggi Mancini dice: «Non è adatto al calcio inglese, meglio in quello spagnolo o italiano». Robinho ha replicato: «Non ha mai avuto fiducia in me». Come sempre la verità è a metà strada. La fiducia è una cosa seria....

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