È pur normale che Londra e Milano discutano di far pagare dei ticket alle auto che entrino nei centri storici, ma che c'entra Venezia? La cosiddetta «pollution charge» è stata pensata per combattere le emissioni inquinanti delle marmitte, non per far soldi alle spalle di chi va a piedi; è una tariffa studiata per risolvere i problemi delle nostre città, e che c'entra Venezia con le nostre città? Venezia è ormai la nostra Disneyland, come tanti veneziani rassegnati ormai sanno; è la capitale del souvenir radical-kitsch, l'unico luogo del mondo dove paghi anche per andare alla toilette della Stazione e dove comunque già strapaghi tutto, dove non c'è italiano che possa passeggiare tra le calli senza sentirsi spremuto come un tedesco in canotta traforata e sandali trasparenti e pantaloncini Adidas. Ora un sindaco come Massimo Cacciari s'inventa che «Venezia non ce la può fare con la fiscalità ordinaria» e ipotizza addirittura «una tassa di soggiorno» che non soltanto è illiberale, ma è la mera copertura di chi si professa di sinistra ma ha per segreta intenzione quella di escludere dalla città i turisti più squattrinati.
Ma se a ciò è ridotta Venezia, laddove le gondole di plastica sono made in Corea, e la maggior parte dei bicchieri di Murano e dei merletti di Burano sono fatti a Est, vedano di importare da Est anche un ex comunista vero, che di piccoli manager ex sessantottini ne abbiamo davvero un'inflazione.Ex veri comunisti cercansi
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