Vancouver 2010

Fabris in cerca di vendetta col ghiaccio per nemico

La rivincita sui 1.500 metri. L’azzurro deve ancora digerire la delusione della prima gara «Qui è difficile dosare le forze: ma sarà un problema per tutti»

Fabris in cerca di vendetta col ghiaccio per nemico

Andava così anche su a Baselga di Piné: se la primavera arrivava troppo presto a sciogliere il ghiaccio, lui faceva le valige. Inutile provare sul Renon a Collalbo: lassù, sopra Bolzano, l'impianto è addirittura all'aperto. E allora caccia ai palazzetti: in Olanda, dove Enrico è una star, oltreoceano, dove anche per i bimbi il pattinaggio è uno fra gli hobby possibili. Poi, per fortuna, dopo le ultime Olimpiadi, Fabris ha trovato una casa anche all'Oval Lingotto di Torino. Sempre troppo lontano da Roana, cuore veneto. Troppo distante anche Anne, la ragazza con cui Enrico Fabris, ad Asiago, convive da alcuni anni: lei, la sua prima tifosa; lei, il ghiaccio bollente dell'amore. Sempre lei: la cosa che gli manca di più in questa vita on the road, sulla via del ghiaccio. «Poi arrivi qui, in un palazzetto ed ecco un ghiaccio che...». Nemmeno quello "en plein air" del Renon. Riflette, Enrico, e alla vigilia del suo possibile, arduo, riscatto, dopo la delusione per il settimo posto nei 5mila metri, si è già preso una parte di colpe. Ma non se le vuole addossare tutte: ghiaccio di burro, umido in pista. Il ghiaccio non è (solo) acqua. E nemmeno la classe di Enrico potrebbe bastare stasera (all'1.15 italiane).
Fabris ci riproverà sulla distanza più breve, quei 1500 che quattro anni fa lo catapultarono sul gradino più alto del podio, il primo dei due ori olimpici. Al Richmond Oval stanno lavorando per far dimenticare i guasti alle macchine che rifanno il ghiaccio, ma il vero, unico grande problema di Enrico è la paura di sbagliare di nuovo. Il campione di Asiago sembra non aver la giusta confidenza con questo ghiaccio che naturalmente se è morbido e umido, lo è per tutti. Par condicio. Paura impari. Sarà per questo, o perché non sente le gambe al top, fatto sta che le sue parole indirizzano alla prudenza. «Ho un feeling diverso su questa distanza - spiega Fabris -. Questa è dura: devi dosare le forze dall'inizio alla fine. Se quelli che vanno bene su tutte le distanze partono molto lenti possono perdere, se gli sprinter vanno forti al via possono morire. Bisogna trovare una giusta via».
Fabris ha continuato ad allenarsi, appena un giorno per smaltire la delusione dell'esordio: ma la confidenza ancora non c'è. A confermarlo è anche Maurizio Marchetto, il suo ct, che parla di «legnata» non solo fisica ma anche mentale, riferendosi alla maledetta sera dei 5mila.
Vuole evitare polemiche, il presidente della Fisg Giancarlo Bolognini, ma è evidente che il ghiaccio del Richmond proprio non gli piaccia e che a quel ghiaccio imputi il risultato di Fabris: «I grandi scivolatori che non utilizzano la forza rispetto alla tecnica corrono il rischio di essere svantaggiati», spiega Bolognini. Fabris, infatti, negli ultimi tre, quattro giri della gara ha cercato di forzare ed era in corsa per il bronzo, poi però si è ritrovato le gambe bloccate.
Chi invece non sembra patire il manto del Richmond è Shani Davis, fresco di medaglia nei mille e pronto al bis nei 1500: «Davis è sempre stato forte su quella distanza - dice Fabris -: non si può dire sia stata una sorpresa. Comunque non ha vinto con così tanto vantaggio». Il campione azzurro sa che deve fare più del massimo per raddrizzare queste Olimpiadi, in cui ancora deve giocarsi la carta della staffetta che gli valse il secondo oro olimpico. «Siamo tutti e tre in forma - dice -, aspettiamo il giorno della staffetta e mostreremo che cosa possiamo fare».
Intanto nervi saldi e lame affilate per tenersi l'oro vinto nel 2006, anche se la missione stavolta appare più dura. A dargli manforte, sussurrando il loro tifo per non alzare l'umidità all'interno dell'ovale di ghiaccio di Vancouver, è arrivato da Roana anche il fans club cui si aggiungeranno oggi anche papà Valerio, il fratello Nicola e don Romeo Martello, lo zio del campione che, a 80 primavere, non voleva perdersi la gara. Quattro anni fa, alla conquista della terza medaglia a Torino, fece suonare a festa le campane del paese. Questa volta ha lasciato disposizioni in parrocchia.

Perché in pista, accanto ad Enrico, voleva esserci di persona.

Commenti