Fabris, oro e polemica: «Il calcio doveva fermarsi per i Giochi»

«In certi momenti il football dovrebbe lasciare spazio agli altri sport»

Paolo Marchi

nostro inviato a Torino

«Sarebbe stato bello se il calcio si fosse fermato in occasione delle Olimpiadi invernali per dare visibilità a tutti quegli sport minori che faticano a porsi all’attenzione del pubblico. Io stesso, davanti agli eccessi del pallone, me ne sto disinnamorando». Parola di Enrico Fabris dopo la conquista dell’oro nell’inseguimento nel Pattinaggio velocità. Venticinque anni a ottobre e tanta modestia e umiltà nel vedere lo sport e la vita: «Il calcio con i suoi atteggiamenti sta condizionando tutto in Italia, tanto che anche se spero non avvenga questo, succederà che fra dieci giorni, massimo un mese, noi ragazzi d’oro di Torino saremo dimenticati».
Gli chiedono di Aldo Montano, olimpionico ad Atene e poi uomo copertina nei rotocalchi femminili e in tv. Sorride: «Dovrò forse prendermi anch’io un’attrice per fidanzata? A parte la battuta, se venissi invitato a destra e a sinistra, questo darebbe un’immagine positiva al mio sport che se lo merita. L’importante sarà restare con i piedi per terra. A me piacciono tutti quelli che hanno vinto un oro, a iniziare da Tomba, perché chi arriva in alto in questi sport ha fatto sacrifici incredibili, spesso lontano dai riflettori. Non so invece se accetterei di fare come Montano che partecipa a una trasmissione come La Fattoria. I mass media per quel genere di cose cercano quelli che possono fare audience. Ma gli atleti che accettano questi inviti si rovinano e compromettono quelle caratteristiche che hanno permesso loro di diventare dei campioni. Se noi siamo così in alto, è perché abbiamo vissuto in certi modi e non credo che un’Isola dei famosi forvierebbe l’indole mia. Io vorrei restare umile e attento». Gli si ricorda che entrare nella Fattoria potrebbe comportare un rimborso di 600mila euro... «È una bella cifra ma, per poterla eventualmente rifiutare, dovrebbero prima offrirmela. Però, se mai l’accettassi, lo farei per potere finalmente costruire la pista davanti a casa mia».
Intanto, dopo i 40mila euro del bronzo, Enrico ne ha aggiunti altri 130mila. Cominciano ad essere una bella somma: «Potrò così pagarmi senza preoccuparmi il pedaggio dell’autostrada per tornare ad Asiago. È una battuta, almeno questo ci viene rimborsato. Il vero regalo che mi farò con la mia fidanzata sarà, dopo i mondiali del 18-19 marzo in Canada, di andarmene in vacanza. È indifferente dove, mi va bene tutto, New York come la Finlandia. Vorrei una settimana per isolarmi da tutto, tanto sono sicuro che non perderò mai le mie radici montanare. Ma adesso penso ancora a Torino 2006: l’oro è arrivato non solo perché galvanizzato dal bronzo, ma anche perché dopo un giorno di ubriacatura da tv e giornali ho saputo isolarmi e sarà così anche stavolta in vista dei 1.500 il 21. Resto con i piedi a terra, ma sono consapevole che posso cavalcare questa onda felice su cui sono salito. Le Olimpiadi sono belle perché se si prende Hedrik, il fuoriclasse americano, è ovvio che il favorito assoluto di tutto è lui. Ma poi in pista ci si rompe le scatole a vicenda e vincono i migliori. Io sono visto dai miei compagni di squadra come il riferimento per tutti loro perché tiro per il 50 per cento, ma se non ci fossero loro nell’altro 50 non arriverei al traguardo. Come Zoeggeler, penso di avere in comune con Schumacher la meticolosità nella preparazione.

La mia è finora stata una vita sportiva di sacrifici e il pattinaggio in particolare è sport per atleti veri». L’ultima frase è un invito: «Dopo il terzo posto nei 5.000 non si è fatto vivo nessun sponsor, spero che con l’oro cambi qualcosa».

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