Roma Di persona si sono incontrati mercoledì scorso. Ma i contatti tra Gianfranco Fini e Gianni Letta sono andati avanti anche nei giorni successivi, tanto che inizialmente i due avevano previsto un altro faccia a faccia per ieri che è poi slittato. Se ne riparlerà lunedì o martedì. Con i numeri della manovra correttiva che saranno meno fumosi e l’obiettivo di cercare un punto d’incontro tra Silvio Berlusconi e il presidente della Camera.
Lavori in corso, dunque. Con Letta a fare da pontiere, cercando di trovare una sintesi tra le diverse partite che si stanno giocando: manovra e ddl intercettazioni. Ed è soprattutto il primo fronte che negli ultimi giorni ha portato a un involontario avvicinamento tra i due. Con il Cavaliere che preme su Tremonti per una manovra che sia «il più possibile condivisa» - tanto da volerla far passare o per la consulta economica del Pdl o per l’ufficio di presidenza in modo da farle avere un’investitura formale dal partito - e Fini che respinge ogni tentativo di accelerazione in nome della sovranità del Parlamento. In verità, la partita è più complessa. Perché dopo l’uscita di scena di Scajola e l’indebolimento dei coordinatori del Pdl coinvolti nelle inchieste, Berlusconi vorrebbe evitare che Tremonti si comporti come un uomo solo al comando, continuando a non fornire con chiarezza i numeri della manovra e insistendo su misure che certo il premier non guarda come la panacea. Tra queste, il ripristino della tracciabilità dei pagamenti (di vischiana memoria) e pure il taglio del 20% delle retribuzioni dei manager pubblici che hanno un reddito superiore ai 100mila euro (che rischia di imballare la macchina della pubblica amministrazione se davvero decideranno di incrociare le braccia come minacciano da giorni). Così come Fini non ha affatto gradito che Tremonti («è solo l’aperitivo», disse) abbia rilanciato l’idea di Roberto Calderoli di tagliare del 5% lo stipendio dei parlamentari. Iniziativa di cui presidente della Camera e presidente del Senato avrebbero preferito occuparsi in prima persona. Non è un caso che al faccia a faccia di qualche giorno fa tra Fini e Renato Schifani sia seguita una nota congiunta dove si sottolineava la necessità di «conoscere i provvedimenti del governo». Come a dire, Tremonti ci dica se vuole intervenire lui sulla materia altrimenti noi non possiamo muoverci. E prima o poi, certo, lo farà. Anche se sembra che anche ieri, quando è salito al Quirinale per illustrare la manovra a Giorgio Napolitano non sia riuscito a soddisfare la curiosità del capo dello Stato che - fanno sapere dal Colle - si è trovato davanti un testo un po’ vago.
Un percorso di avvicinamento, quello tra Berlusconi e Fini, che passa dunque anche per la manovra correttiva. Tanto che quando Letta ha incontrato Fini non ha perso l’occasione per ricordare i tempi andati (quando, per capirci, era proprio l’allora leader di An uno degli argini a Tremonti). Ma che avrà un passaggio chiave sul ddl intercettazioni (molto caro al Cavaliere). E non è passato inosservato il fatto che venerdì, nel pieno dello scontro sul testo di Angelino Alfano, i finiani - perfino quelli solitamente più coloriti - abbiano scelto decisamente la via del basso profilo. Di contro, pure Berlusconi - ambasciate di Letta a parte - pare essersi ammorbidito, visto che il messaggio fatto veicolare dal presidente della Camera è chiaro: si può trovare un equilibrio. Purché al sostegno alla manovra prima e al ddl intercettazioni poi segua una qualche legittimazione della minoranza interna al Pdl. Come un impegno chiaro su quando sarà convocato il congresso nazionale e, magari, qualche aggiustamento ai vertici del partito.
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