Facciamo il tifo per la nuova squadra di Bersani

Caro Granzotto, mi aspettavo un suo giudizio sulla nuova dirigenza del Partito democratico, ma vedo che è un argomento che o non lo interessa o le crea imbarazzo. Peccato, perché i suoi giudizi sempre disincantati e controcorrente e qualche volta pungenti mi sono di grande utilità nelle annose dispute con i miei conoscenti con idee di sinistra. Faccia dunque uno sforzo e mi dica che cosa pensa di Bersani e compagnia bella.
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Come può pensare ch’io non sia interessato alle vicende del partito dei «sinceri democratici», caro Piccoli? Non sono molte le occasioni di divertimento e quindi figuriamoci se mi privo di quello rappresentato dagli annaspamenti e dai trionfalismi del nuovo, fresco di giornata Piddì. Terzo scodellamento del «bambino», per dirla con Bersani, nel giro di due anni (e mi pare che qualcuno, forse Daniele Luttazzi, abbia commentato che se il bambino nasce tre volte di seguito nel giro di due anni, significa che il ginecologo è ubriaco). Bersani mi piace: quando lancia le parole d’ordine con quella gustosa cadenza emiliana, si capisce che lo fa per atto dovuto e che quasi gli viene da ridere. Non come Franceschini che istericamente faceva finta di credere a quel che diceva o Veltroni che partiva per le tangenti africane, buoniste, pauperiste, sognatrici e favolistiche (ciò che piaceva tanto, ma tanto, ai repubblicones). Interessanti anche le sue scelte per lo staff: lui, vecchia quercia comunista, non «sincero democratico», ma «compagno» e compagno Doc, chi ti va a scegliere? Ti va a scegliere, come vice, un democristiano emerso dai tornanti del pipit, il Partito popolare italiano, e che tirandosela da Giuliano Amato dei poveri ambisce a essere il Dottor Sottile, ma direi piuttosto smunto, del rimpannucciato baraccone progressista. Come presidente, poi, dopo aver bussato inutilmente alla porta di Prodi il nostro Pierluigi ti va a scegliere un’altra democristiana fatta e finita, la bella e intelligente al cinquanta per cento Maria Rosaria Bindi detta Rosy. Mica basta: a vice della Bindi nomina Marina Sereni, ulivista dalla nascita e di conseguenza virata al papocchio. Non basta: per far buon peso Bersani le affianca Ivan Scalfarotto, «esperto di risorse umane e storico rappresentante della comunità gay», che detta così sembra, giustamente, un tutt’uno. La cosa interessante è che la presidentessa (Bindi) non è mai stata tenera con la comunità soavemente rappresentata dal suo vice (Scalfarotto). Asserì, infatti, Bindi, che «per un bambino è meglio stare in Africa che avere genitori gay». Opinione che Scalfarotto definì, tout court, «barbarica». E anche «gravemente inappropriata». Come se non bastasse, lo Scalfarotto ce l’ha coi crocefissi che vorrebbe fossero tolti non solo dalle scuole, ma anche dai tribunali. Faccenda che non dovrebbe andar giù a una cattolica praticante, qual è la Rosy. Chissà come andrà a finire, fra i due. Si tireranno per i capelli? Comunque, bella squadra ha messo su il Bersani. Solida e rappresentativa. Quota rosa più che rispettata, un po’ di Diccì, un po’ di Ulivo, un po’ di gnagnera (Scalfarotto appoggiò la mozione Marino), un tocco, rappresentato dal segretario, di centralismo democratico e assenza di bischerate tipo «spirito di Obama», «I care» e «We can». Quantunque, a ben vedere, manca qualcosa. Per dar nerbo e arricchire la visione caleidoscopica del «bambino», Bersani avrebbe dovuto far di più e magari cooptare la D’Addario e la Brendona. La prima a far da pendant a Scalfarotto in veste di rappresentante di un’altra comunità, quella delle escort, siano esse deambulanti o attivate con uno squillo, oltre che di colonna portante del Papigate e dunque medaglia d’oro dell’antiberlusconismo guardone.

La seconda quale simbolo della way of life, no, forse è troppo, diciamo dei capriccetti, delle passioncelle della sinistra colta, salottiera, moralista e antropologicamente diversa. Strano che non ci abbia pensato: sarebbe stato come il cacio sui maccheroni.

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