Scegliete il proverbio che volete: botte piena e moglie ubriaca, il colpo al cerchio e alla botte. Un bel gruppetto di politici del centrodestra li sta ripassando tutti, uno per uno, con calcolata pazienza. Sono quelli che si sono messi a fare l’opposizione con i voti della maggioranza. Premono per essere messi in lista ma appena Berlusconi è in difficoltà ne chiedono il ritiro. Votano in un modo da ministri e all’opposto da presidenti di Regione. Non aprono bocca durante la campagna elettorale referendaria ma appena annusata la direzione del vento (contraria al governo) corrono alle urne depositando schede piene di «sì». Per restare alle frasi fatte, gli amici si vedono nel momento del bisogno. Ma certuni preferiscono tenere il piede in due scarpe.
«Troppo comodo», ha sibilato l’altra sera Massimo D’Alema a Ballarò. È stato l’unico guizzo dell’ex presidente del Consiglio, messo alle corde dall’accoppiata Belpietro-Polverini. D’Alema è uscito dall’angolo proprio ribattendo al governatore del Lazio: «Mi fa piacere che tu proponga la riforma fiscale del Pd anziché di Tremonti, con la riduzione della pressione fiscale su lavoro e imprese e la tassazione delle rendite finanziarie». La Polverini ha cercato di zittirlo: «Almeno nei due anni che siete stati al governo potevate alzare le tasse sulle rendite». E D’Alema: «Tu sei sempre all’opposizione anche stando al governo con i voti di Berlusconi, ti sei ritagliata un ruolo spettacolare. Almeno uno dovrebbe avere onori e oneri, diciamo».
Sabato la Polverini aveva manifestato con i gay all’Europride («sono contenta e se mi invitano torno») e domenica ai referendum ha votato tre «sì» e un «no». L’avrà fatto anche in spregio al detestato popolo padano: poche ore prima Umberto Bossi aveva ripetuto l’invito a non votare. Ma che cosa dire allora di Luca Zaia, governatore leghista del Veneto, che ha barrato il «sì» nelle quattro schede referendarie? Proprio lui, ex ministro del governo che aveva deciso il clamoroso ritorno del nucleare?
Nelle scorse settimane Zaia aveva annunciato l’intenzione di votare su acqua e centrali, ma aveva taciuto sul quarto quesito, il legittimo impedimento. All’uscita dal seggio invece il presidente veneto ha argomentato la scelta: «Se riguardasse me, preferirei avere una corsia preferenziale che sveltisse ogni procedimento». Come dire: altro che impedimento alle udienze, Berlusconi dovrebbe chiedere di farsi processare subito. «Non ritengo giusto - ha aggiunto - che chi amministra resti con la spada di Damocle di qualche avviso di garanzia per poi avere dopo anni l’assoluzione con formula piena». Nemmeno si fossero messi d’accordo, è scattato il gioco di sponda con la Polverini. «Penso che ciascuno di noi abbia il diritto e il dovere di avere un processo veloce. Anche io chiaramente mi ci sottoporrei rapidamente», è stato il suo commento.
Anche il sindaco di Roma ha votato ai referendum. «Ho esercitato la mia autonomia», ha detto Gianni Alemanno. Lo stesso ha fatto Stefano Caldoro, governatore Pdl della Campania, il quale ha puntualizzato che «nelle schede ci sono anche dei no». E pure Ugo Cappellacci, presidente della Sardegna eletto al termine di una campagna elettorale sulla quale ogni fine settimana atterrava Berlusconi. Sul nucleare gli isolani si erano già espressi il mese scorso in un referendum consultivo: gli scienziati, Margherita Hack compresa, l’avevano consacrata «regione meno sismica d’Italia» e quindi la più indicata a ospitare nuove centrali. Ma il 98 per cento dei sardi ha sancito che non ne vuol sapere. E così Cappellacci è tornato alle urne: «Sono contro il nucleare ma non mi sento un traditore», ha spiegato con la classica excusatio non petita.
Da venti giorni il sottosegretario Stefania Craxi sta ripetendo che «Berlusconi ha esaurito il suo ciclo, non deve dimettersi subito ma non si ripresenti nel 2013». Gianfranco Micciché ha approfittato del rovescio nel centrodestra per consolidare il progetto del Partito del Sud. Al governo con la maggioranza ma all’opposizione con le idee. Troppo comodo, dice D’Alema.
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