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Fair play, il calcio imita il rugby

Il gesto dei giocatori della Fiorentina dopo la partita con l'Inter ha fatto scuola. Da gennaio obbligatoria la stretta di mano a fine gara. Il saluto finale già in vigore per pallavolo, hockey e baseball

Fair play, il calcio imita il rugby

Milano - Clamoroso al Franchi. Dopo aver visto i giocatori della Fiorentina, sconfitti, che applaudivano e stringevano la mano a quelli dell’Inter prima di rientrare negli spogliatoi, la Lega calcio ha scoperto che alla fine di una partita ci si può anche salutare. Anzi, il gran consiglio di via Rosellini ha colto la palla al balzo per istituzionalizzare l’evento: «Questo tipo di saluto deve diventare una consuetudine - hanno sentenziato in Lega -: la cerimonia del fair play ha lo scopo di favorire il sentimento sportivo e di svelenire il clima agonistico al termine delle gare e sarà adottata come obbligatoria per tutte le partite di campionato». Di più, si sono affrettati a precisare: «Sottoporremo l’iniziativa all’approvazione di tutti i presidenti di A e B nella prossima riunione di consiglio per poi passare alla fase sperimentale e far diventare il saluto obbligatorio dal prossimo gennaio».

Insomma, nel calcio arriva una svolta epocale. Finita la partita ci si potrà finalmente salutare. Anzi ci si dovrà salutare, sempre che il consiglio di Lega non ponga qualche veto incrociato, magari da parte dei presidenti di B che in cambio chiederanno i diritti tv sulla stretta di mano. Chi invece se ne vorrà uscire evitando questo gesto inusuale, dovrà approfittare di queste ultime domeniche del 2007, dopo di che rischierà di finire nel mirino del giudice sportivo.
Il calcio dunque scopre quello che in molti altri sport si fa da sempre. Peccato solo che un gesto apprezzato come quello di Firenze, debba passare da naturale a forzato. Che sia necessario regolamentare o addirittura imporre un rito che dovrebbe propagarsi spontaneamente su tutti i campi, soltanto seguendo l’esempio di Prandelli e dei suoi ragazzi. Un rituale che, come hanno fatto notare molti commentatori, è stato messo in atto senza l’autorizzazione della Lega.

Un gesto che è stato mutuato dal rugby, ma più genericamente dalla grande tradizione dello sport britannico. Nel mondo ovale si fa da sempre, ma molte volte l’abbiamo visto nel calcio: ricordiamo gli applausi del Manchester al Milan al termine di un’autentica battaglia in semifinale di coppa Campioni nel ’69, e quelli dei milanisti al Liverpool dopo la vittoria di Atene di quest’anno. Il saluto a fine partita è un gesto scontato in quasi tutti gli sport di squadra: nella pallavolo si sfila sotto rete dandosi la mano, nel baseball le due squadre si incrociano sul monte di lancio, nell’hockey pattinando in diagonale da un lato all’altro del ghiaccio. E nessuno si è mai preoccupato di codificare questi gesti.

Da ieri in Italia, invece, è tutta una corsa alla celebrazione di quello che viene impropriamente chiamato «terzo tempo». Senza sapere che il terzo tempo del rugby è una cosa ben più sostanziale. Non solo un saluto prima di rientrare negli spogliatoi, ma una bicchierata (per i poveri) o una cena (per i ricchi) tra le due squadre dopo la partita. Una tradizione consolidatissima, irrinunciabile, rovinata solo dall’avvento del rugby iperprofessionistico degli ultimi tempi, tanto che ai mondiali di Francia qualche squadra l’ha persino evitata per non perdere la concentrazione.

Tempi che cambiano. Non resta che aspettare il consiglio di Lega, anche se già si profila un nodo fondamentale da sciogliere: dovrà essere la squadra sconfitta ad applaudire i vincitori o viceversa? E se la partita finisse in pareggio? O toccherà sempre e comunque alla squadra di casa? Speriamo che almeno su questo i presidenti trovino un accordo.

E soprattutto che alla fine si salutino.

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