Il fair play Polverini-Bonino? Una finta, sono già sul ring

Le due candidate nel Lazio hanno promesso una sfida rosa anche nei toni. Invece hanno indossato i guantoni, proprio come i maschi (per fortuna)

Altro che primarie: la Polverini e la Bonino, candidate nel Lazio, sembravano selezionate personalmente da Lina Sotis. All’inizio della corsa elettorale, in fondo l’altroieri, la grande novità era proprio questa: un duello tutto femminile, cioè alto e rispettoso, all’insegna di quella politica nuova che in Italia chiunque agogna e nessuno riesce a praticare. Rosa è bello, rosa è raffinato. E gli uomini maschi, annichiliti da tanto stile e tanto garbo, chiusi nell’angolo a rodersi con i sensi di colpa. Loro, autori e attori della politica becera, solo schiamazzi, fango e colpi sotto la cintura. A certificare questa differenza sessuale del confronto, un grande esperto della dialettica soft: Vittorio Sgarbi. Parole incantate, dal professore: «Credo che il confronto tra Polverini e Bonino sia il maggior punto di avanzamento della politica, dopo il degrado che essa ha patito, fino all’uso del termine “politica” con accezioni negative».
Per fortuna, possiamo dirlo davvero con sollievo, questa campagna elettorale della Barbie evidenzia già i primi segnali di crisi. Ha le ore contate. Diciamolo francamente, anche se costerà la solita patente di maschilismo invidioso: come messinscena a sfondo lillà, è durata pure troppo. Appena cominciata, già insopportabile. Con alcuni effetti tra l’altro da psicanalizzare: molti rimpiangono le antiche tribune elettorali di due ore, con i frizzanti monologhi di De Mita, che hanno allietato i nostri anni addietro. Ma sì, comunque meglio un Di Pietro-Mastella che questo minuetto recitato a soggetto e venduto come politicamente corretto.
È sin troppo chiaro come a infastidire non sia certo lo storico duello declinato al femminile. Ce ne fossero. Non è per concessione buonista che dobbiamo ammettere, noi uomini, una certa freschezza e una certa passione nell’impegno politico delle signore. Anche per il solo fatto d’essere abbastanza recente, come conquista, rappresenta già una garanzia di innovazione e di ricambio. Come spalancare la finestra in una bisca, dopo una notte di gioco e di tanfo: si respira un’altra aria.
Però all’Italia basterebbe questo. Due donne che vogliono comandare il Lazio, e vinca la migliore. Punto. Invece no, non può funzionare così. A dimostrazione che da noi l’emancipazione femminile non è ancora nella sua fase matura, vissuta come vera normalità, su questo derby romano abbiamo subito caricato una serie di significati decisamente superflui e melensi. Loro per prime, le candidatesse, hanno giocato nella parte. Ci affronteremo sul piano delle idee, noi. Ci rispetteremo e ci stimeremo tantissimo, noi. Sottinteso: non come quei trogloditi dei maschi. La campagna elettorale, in una regione che esce letteralmente dal fango, si è avviata così a diventare una specie di terzo tempo del rugby, tutta carezze, convenevoli, bacini-bacini. Il fair play più spudorato e più esibito, in dosi glicemiche fuori dall’umana sopportazione. Perché va bene, il maschio Nino Strano che mangia fette di mortadella in Senato è un punto molto basso della politica italiana, ma se il riscatto è questa panna montata di riverenze da circolo del tè, allora c’è veramente da chiedersi se riusciremo mai a dotarci di una politica austera, scarna, essenziale, cioè normale, senza concessioni ruffiane ed esibizioni sdolcinate.
Però attenzione: ci sono segnali. Effettivamente si può sperare che fossero solo inutili manfrine dì apertura: così, per dimostrare a tutti che arrivavano loro, le maestrine della politica. C’è la fondata certezza che col passare delle ore, con l’avvicinamento dell’appuntamento elettorale, anche le nostre due dame liberino la belva trattenuta in fondo al loro animo da combattenti. È bastato che la Bonino annunciasse di candidarsi non solo nel Pd per il Lazio, ma anche come radicale in Lombardia, perché la Polverini commentasse subito con sarcasmo baffino, tramite portavoce: «Ma cosa combina la Bonino? Prima annuncia la candidatura nel Lazio, sostenuta da tutto il centrosinistra, poi si presenta come capolista in Lombardia per la sola lista radicale. È proprio vero che il lupo perde il pelo, ma non il vizio: i radicali non sanno resistere alla tentazione di correre in solitario». E ancora, senza bisogno di portavoce: «Il Pd ha una classe dirigente cresciuta nel Lazio: vedere una candidata radicale, che oltre tutto viene dal Piemonte, è una sorpresa...». E per concludere, nel crescendo di polpette avvelenate: «Sono l’unica a rischiare l’unica poltrona che aveva, perché comunque io lascerò il sindacato. Lei invece continuerà a fare la vicepresidente del Senato. Quanto al video-spot “Emmatar” che l’ha lanciata, io spero di farne uno un po’ più comprensibile, ma soprattutto un po’ più sincero: ci sono battaglie della Bonino che nel suo video non sono presenti, come la campagna per l’abrogazione dell’articolo 18, nonché la proposta per cambiare l’articolo 1 della Costituzione, togliendo la parola lavoro...».
È evidente, stanno sbaraccando il teatrino delle bambole. Presto finiranno dove in fondo sono partite: alla politica maschia. Con tutti i vizi, i trucchi, le carognate del ramo. Si sa com’è il processo mentale: quando ne erano fuori, le donne parlavano della politica come di un mondo sordido e malvagio, così ridotto dall’indole dell’umanità maschile. Una volta lì, è facile riscoprirle beatamente immerse nel ruolo, completamente a proprio agio, belle muscolari, altro che fair play. La Santanchè e la Mussolini, la Turco e la Bindi, per parlare delle pioniere ormai veterane: bastano i nomi, non c’è niente da spiegare. Reggono benissimo il confronto con gli uomini. Potrebbero farci un paio di riprese senza guanti.

Perché una volta lì, nell’arena, tutti quanti, uomini e donne, scoprono la stessa cosa: le elezioni non sono l’uncinetto. E si adeguano. Nel giro di pochi giorni, si stanno adeguando anche la Bonino e la Polverini. La campagna elettorale a colpi di cotton fioc non è di questo mondo. Per la politica del Bagaglino c’è già il Bagaglino.

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