Roma

Falsi incidenti: chiusa l’inchiesta «Lothar 4»

Si era sparato alla tempia il giorno dopo la perquisizione dei carabinieri. Con la morte dell’avvocato Bruno Podrecca gli inquirenti scoperchiano il sistema perfetto per una mega-truffa alle assicurazioni auto. Notificati gli ultimi 10 avvisi di garanzia ad altrettanti indagati: la parola ora al gip che dovrà decidere se rinviare a giudizio centinaia di persone e avviare il maxiprocesso. Quattro anni d’indagini, 85 persone arrestate fra le quali 4 medici di pronto soccorso, 7 ortopedici, 3 radiologi, 9 avvocati, 4 carrozzieri. I numeri dell’operazione «Lothar 4» continuano con mille persone denunciate, 50 compagnie assicurative truffate per oltre 20 milioni di euro, 300 richieste di rinvii a giudizio su 1300 pratiche totalmente inventate. E il sospetto che dietro tutto ci fosse un disegno criminale per lievitare i prezzi della polizze auto nella capitale.
Secondo gli atti sequestrati dai militari di via In Selci fra il 2004 e il 2006 gli incidenti, quasi tutti investimenti di pedoni, avvenivano soprattutto al Trullo, all’incrocio fra via Affogalasino e la via Portuense. A capo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, un penalista romano, G. C. di 36 anni. A mettere i militari sulla pista giusta lo strano suicido di un altro avvocato romano, Bruno Podrecca, 47 anni. L’abitazione dell'uomo era stata perquisita il 1° luglio 2003 dai carabinieri su disposizione del sostituto procuratore Andrea Padalino. Per ben 12 ore militari setacciano i documenti trovati nella villa presa in affitto in via Gaspare Gozzi a Santa Maria delle Mole (Marino). Il solo pensiero che il suo nome potesse finire fra gli indagati lo tormenta. Al mattino Podrecca afferra la sua pistola Ppk calibro 7,65 ed esplode due colpi che finiscono in giardino. Passa un’ora e ne spara un terzo a vuoto. Infine il quarto, quello fatale, alla testa. A scoprire il cadavere la cameriera.
Un mistero. Cos’è accaduto nella notte? Certo è che il poveretto doveva essere sconvolto. Il timore di perdere tutto, la vergogna di essere finito dall’altra parte della legge, la paura di ritorsioni, non gli davano tregua. Poi il “buco” di tempo tra gli spari. Paura di fare cilecca o un improvviso ripensamento? Quindi la decisione di farla finita. Un affare dalle mille ramificazioni tanto che l’allora procuratore della Repubblica Salvatore Vecchione ne parla alla commissione parlamentare antimafia. Un raggiro gigantesco portato avanti per anni con la complicità di alcuni medici e radiologi degli ospedali Sandro Pertini e Figlie di San Camillo, oltre che dei carrozzieri che, a vario titolo, attestavano il falso per poi dividersi il risarcimento. Sulla somma totale il 60 per cento andava agli avvocati.
Fra i reati contestati dal pm Paolo Giorgio Ferri, che ha concluso l’inchiesta, falsità ideologia in atti pubblici e in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, danneggiamento fraudolento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona. Secondo l’accusa il gruppo era in grado di aprire una pratica per un incidente stradale mai accaduto e di seguirne l’iter fino al risarcimento. La messinscena prevedeva la partecipazione di “figuranti”, persone che fingevano di essere vittime dell’investimento. Ai medici compiacenti spettavano le false lesioni. «L’inchiesta è particolarmente complessa ed è quindi prematura una valutazione dei fatti - sostiene l’avvocato Gianluca Arrighi che difende alcuni indagati -. Le eventuali responsabilità dovranno essere adeguatamente dimostrate.

Se, e quando la Procura chiederà il rinvio a giudizio, valuteremo la linea difensiva più opportuna».

Commenti