Da 29 anni domina da dittatore incontrastato i destini del suo Paese, Lo Zimbabwe, lex Rhodesia, che ha portato a livelli di tragica povertà. Ma ieri Robert Mugabe ha approfittato del podio offerto dal vertice sullemergenza alimentare della Fao, per prendersela con i Paesi ricchi, e contro quelli che ha definito i «nemici neocolonialisti», accusati di complottare contro leconomia del suo Paese. Un intervento che ha rappresentato fisicamente le difficoltà della lotta alla fame, stretta tra legoismo dei possibili finanziatori e le corrotte élite dirigenti di molti Paesi del terzo mondo.
Aprendo i lavori della seconda giornata del summit romano Mugabe ha ricordato i venti miliardi di dollari promessi dal G8 dellAquila per la lotta contro la povertà, avvertendo, però che non devono essere usati «come unarma politica». Una richiesta appena mascherata di non collegare gli aiuti a controlli su come i soldi vengono effettivamente spesi. Nel suo intervento, Mugabe è tornato a denunciare le sanzioni «illegali e disumane» imposte dai Paesi «occidentali e potenti» allo Zimbabwe. Dobbiamo fare i conti con «le politiche punitive portate avanti da certi Paesi i cui interessi sono opposti alla nostra ricerca di una riforma agraria equa e giusta», ha proseguito il leader africano. «Questo ha avuto un impatto negativo sui nostri agricoltori che dovrebbero fallire insieme alla nostra riforma agraria».
In realtà, secondo linterpretazione generale, a condannare leconomia dello Zimbabwe sono proprio le politiche di Mugabe che ha requisito le fattorie produttive, in mano agli ex coloni di discendenza europea, per assegnarle ai compagni di partito. A peggiorare le cose è poi il clima di violenza creato dai suoi sostenitori e grazie al quale è riuscito a farsi confermare presidente nel 2008 tra lindignazione degli oppositori e della comunità internazionale.
Nella seconda giornata del vertice è stato anche annunciato il progetto di un codice di condotta per regolare il cosiddetto «land grab», laccaparramento di terre strappate agli agricoltori dei paesi più a rischio dal punto di vista alimentare per diventare vere enclave extraterritoriali dove società straniere coltivano per poi esportare in patria. Oggi solo in Africa il fenomeno interessa circa venti milioni di ettari di terreno.
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