Per far vincere i figli drogava gli avversari

Giuseppe De Bellis

Maxime non perdeva mai. Bravo: gioco, partita, incontro. Tutto l’orgoglio di papà Christophe, che da baby-pensionato aveva un sacco di tempo libero da passare col figlio per insegnargli la vita: «Non è importante partecipare. Devi vincere. Non mi interessa come, basta che vinci». E Maxime vinceva. Facile. Tanto facile che spesso le partite neanche finivano: l’avversario si ritirava. Allora la Francia del tennis pensava che il giovane Fauviau a 18 anni fosse un campione vero. Così forte che i rivali, pur di non farsi umiliare, preferivano lasciare il campo inventando un malore. Sempre improvviso e inspiegabile.
Coincidenze, però. C’era anche Valentine, la sorella di Maxime. Non perdeva mai anche lei. Loro con la mentalità vincente, gli altri vigliacchi nella difficoltà. Che volete, sono ragazzi: educati alla cultura della vittoria si vergognano della sconfitta. E poi capita anche ai professionisti di infortunarsi per finta. Figurati un giovane. Nessuno ha mai pensato a qualcosa di strano, fino a che una morte ha fatto scoprire che quei ritiri e quei malori non erano casuali: era colpa di papà Christophe. Sempre accanto ai figli, morboso nell’attaccamento ai risultati sportivi nei ragazzi. Ci sono molti genitori così, si trovano in qualunque campetto di periferia. Nel calcio, nella pallavolo, nel tennis. Vogliono che i propri figli vincano, non sopportano che gli altri siano più bravi. Qualcuno è anche diventato famoso: il padre di Serena e Venus Williams, oppure quello di Jelena Dokic.
Il signor Fauviau è uno di questi. Però ha aggiunto un carico inimmaginabile. Lui, ex elicotterista dell’esercito francese, drogava gli avversari dei figli. Uno era Alexander Lagardere, morto a 25 anni nel 2003 in un incidente stradale. Qualche ora prima dello schianto Alexander aveva dovuto interrompere un incontro di tennis in un torneo a Tartas, nel sud della Francia, per un malore. Nell’autopsia il medico legale trovò zero tracce di alcol, molte di un ansiolitico, il Temesta, che può provocare disturbi del comportamento. Strano: Alexander non aveva avuto alcuna ricetta medica. È così che è nata l’inchiesta. La gendarmeria ha cercato testimoni. Ha cercato l’avversario di Alexander: Maxime Fauviau. Lo stesso contro il quale altri ragazzi avevano perso per ritiro. Come un giovane tennista che a giugno 2003, in un torneo a Bascons, aveva denunciato Christophe Fauviau, sorpreso a manipolare la sua bottiglia d’acqua. Dentro c’era il Temesta: lo scoprirono i medici dopo un test fatto perché il ragazzo era finito in ospedale.
Da due indizi sono venute fuori le prove. Una trentina di casi simili, accaduti in tornei dove era impegnato non solo Maxime, ma anche la sorella Valentine, che aveva 13 anni e che era considerata una speranza dalla Federazione. Christophe Fauviau è in carcere dal 2 agosto 2003.

È accusato di aver somministrato «sostanze nocive con premeditazione che hanno portato alla morte senza intenzione di provocarla». Rischia venti anni di carcere al processo che si apre mercoledì. Forse l’imputato non è solo lui.

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