Come faranno insultatori e insultati a governare insieme?

Come faranno insultatori e insultati a governare insieme?

(...) servo occulto di Berlusconi» e di «vermi, mi fate schifo». Vola anche qualche spintone, i compagni duri e puri strappano un fischietto ai movimentisti e, come in un dibattito congressuale, anche fra gli iscritti al Pd ci sono riformisti e massimalisti. I primi se la prendono con l’inciviltà dei manifestanti («Basta, andate a casa, siete antidemocratici»), mentre quelli più dialoganti con la Federazione della Sinistra e Sel dicono: «Ma, in fondo, sono compagni anche loro come noi». Altri spintoni, urla, parapiglia. Ritratto di famiglia in un inferno.
Ecco, se fosse servito un fermo immagine su cos’è la sinistra oggi (non che certa destra sia messa meglio, ma questa è un’altra storia), la scena dell’altra sera alla Festa del Pd è perfetta. Soprattutto è un perfetto fotogramma sulla spaccatura fra il mondo vero e il mondo della politica: a Caricamento si balla fra gli stand; al Mandraccio si fa la solita coda per le focaccette di Crevari, con le cuoche che precisano che loro aderirebbero allo sciopero Cgil, ma non possono aderire essendo volontarie; davanti al Bigo si mangiano i gelati; al Banano Tsunami c’è «Diciottanna», una festa per i diciott’anni di una certa Anna, dove entrano ragazzi e ragazze elegantissimi in abiti da sera, smoking e papillon neri; in mezzo ai padiglioni si incontrano piddini illuminati come l’ex segretario Alfonso Pittaluga, che dice parole bellissime sul cardinale Bagnasco. E poi, sotto il tendone dei dibattiti, c’è la politica.
Una politica che, fischi, insulti, spintoni e precari a parte, è comunque di carta vetrata. Come sempre, quando c’è di mezzo Massimo D’Alema. Che, nei confronti dei contestatori che se la prendono con lui in quanto cugino di Pietro Antonio D’Alema, amministratore di Amiu e individuato come la causa di tutti i loro mali, prima è più morbido di un coccolino: «Vorrei rassicurare questi lavoratori precari che, per quando mi riguarda, la direzione Amiu potrà ascoltarli e il mio auspicio è che si trovi una soluzione». Ma i fischi continuano e Max si infeltrisce: «Se ci lasciano fare il nostro dibattito, forse è anche meglio per i loro problemi. Non siamo noi l’ostacolo...». Altri fischi, e ormai è un klimax: «L’estremismo, è innanzitutto ignoranza, poi è estremismo». Su, su fino a «Bugiardi e ignoranti». Anche se non manca una spruzzata di dalemismo classico, quando lo contestano pure sugli attacchi al governo: «Evidentemente sono estimatori di Berlusconi».
E se il Cav., anzi «questo signore», è il primo bersaglio, c’è persino la riscoperta del garantismo sul caso Penati: «Io e Occhetto, per una volta uniti, siamo stati appena risarciti di ottomila euro per le indagini del dottor Nordio». Addirittura, la giustizia «fatta di processi sui giornali e di indiscrezioni che filtrano dalle indagini» diventa «una cosa barbarica».
Eppure, le rasoiate più dalemiane, D’Alema le riserva ai «rottamatori» e, soprattutto, a Matteo Renzi, mai esplicitamente nominato, ma esplicitamente scomunicato: «Pensiamo di tornare al governo del Paese, ma è chiaro che non ci metteremo la squadra degli anni Novanta. Ci metteremo dei giovani, ma giovani che ci ascoltino senza bisogno di prendersela ogni giorno con me per dimostrare di essere in vita».
Mica finita.

Nell’ennesimo derby a sinistra di D’Alema, finiscono sotto i suoi colpi anche i massimalisti e quelli che, da sinistra, se la prendono contro la Casta: «Mi ricordano quelli che mi raccontava mio padre che durante la resistenza distribuiva stampa clandestina, mentre loro chiedevano di sparare. Poi, si cominciò a sparare per davvero e quelli sparirono». I fischiatori ricominciano a fischiare e Max li fulmina: «Appunto, questi fischi capitano a proposito».
Come potranno governare insieme?

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