Il fascino degli anarchici della Belle époque

Un piccolo-grande libro Gli anarchici della Belle Époque, di Giovanni Ansaldo, tratto da alcuni suoi articoli su Il Borghese, Il Mattino, e pubblicato da «Le Lettere» (Firenze). Questo volumetto, il ventiquattresimo (per ora ultimo) nella collana della «Piccola Biblioteca di Storia Contemporanea» è in compagnia di «Futurismo e politica» del prefatore Francesco Perfetti, di due testi sul referendum di Luigi Barzini junior e di Paolo Monelli, di Lupinacci sulla regina Margherita e di Indro Montanelli «Le passioni di un anarco-conservatore». Me li comprerei: i libri, piccoli di formato e di agile lettura come questo, spesso sono i più intelligenti.
Perfetti ci fa capire il fascino degli anarchici storici su Ansaldo «inossidabile conservatore e uomo d'ordine». Mette in risalto come per lui «gli anarchici, delusi da come era finita la fiammata del Risorgimento, portassero lutto per l'altra Italia sognata da Mazzini e Garibaldi». Nel passaggio tra Otto e Novecento (il secolo degli ideali e quello delle stragi) molti i colpi anarchici contro potere e società. 1894 - Carnot, presidente francese, è ucciso dall'italiano Caserio e per ritorsione a Lione si saccheggiano i Caffé, Casati e Maderni, di nome italiano, per poi scoprire che erano di un savoiardo e di uno svizzero. 1897 - assassinio del presidente del consiglio spagnolo Canovas del Castillo; 1898 - l'imperatrice Elisabetta d'Austria (Sissi) muore per mano di Luccheni; 1900 - 25 luglio - re Umberto, 1901 - il presidente Usa Mac Kinley. Molti attentati: 1892, di Ravachol in Francia e Spagna; 1921, eccidio di Milano: una bomba al Teatro Diana. Da noi, padri illustri d'anarchismo: Pisacane Malatesta Gori.
Nel libro l'introduzione di Perfetti è un'analisi sulla teorizzazione dell'anarchismo nostrano (attraverso la sintesi di Cafiero sul Capitale di Marx), ma anche sulla sua distinzione dal socialismo autoritario figlio del marxismo: rivolta morale il primo, il secondo per istanze economiche.
Vengono presentati i rigurgiti del comune sentire contro l'Unità d'Italia ipotizzando che Bresci, assassino di Umberto I, venuto da Paterson in Usa, nella sua sosta a Parigi si incontrasse con Maria Sofia, regina spodestata di Napoli. Appaiono intrecci internazionali, ma viene da lontano la genesi dell'anarchismo in Lunigiana e a Carrara: filiazione dell'Italia degli Apuani e dei Frigniati di Livio, oppositori di Roma. Questo in base a ciò che ne scrisse Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, amico e compagno d'arme di Ansaldo.
Nel libro raffronti con l'anarchismo francese e l'escalation della tecnologia di morte apportata dall'anarchico criminale Bonnot, passando dal pugnale all'auto: prime applicazioni nella guerra civile in Russia e con i paracadutisti tedeschi a bordo di camion e moto. Raffronti con l'anarchismo spagnolo che fu contro il predominio dei preti e connotato dal macabro. L'osservazione intelligente ci riporta al gusto drammatico della pittura spagnola tra 5/600, inclusi i grandi nomi di El Greco, Velázquez. Epica appare la storia degli anarchici, quasi arcangeli contro una realtà lontana dall'ideale. Ne è simbolo Caserio, assassino di Carnot, che bimbo, a Motta Visconti, andava in processione vestito da San Giovannino. Storia epica perché per Ansaldo gli individui buoni o malvagi, ma di forte personalità, hanno fatto la storia.
Grandeggiano due vittime: Giuseppe Bandi, eroe garibaldino a Calatafimi e prima di Ansaldo direttore del Telegrafo. Ferito a morte dal pugnale di un anarchico, grida al cocchiere: «Sono ferito, acchiappalo». Re Umberto, il re buono di cui si favoleggiava che sfuggisse agli attentati protetto di cotta d'acciaio come da un giubbotto antiproiettile. Di lui il ricordo di Ansaldo bambino, quando alla stazione di Ronco nell'Appennino ligure, dove la sua famiglia era venuta a «frescheggiare», aspetta il treno con la salma del re. «Inginocchiato tra i miei inginocchiati pur essi; e l'arrivo del treno reale; e il vagone col feretro, con i corazzieri, le sciabole nude in pugno».

Capisce allora che la storia della «maglia d'acciaio» (titolo dell'ultimo capitolo) viene dal «pozzo inesauribile della piccineria umana che non può vedere un uomo, specie un re, animoso al di là della comune misura, senza immaginare subito il trucco». E la pietà della gente minuta, ricordandone «il giovanile valore, la prontezza cavalleresca ad accorrere dovunque s'abbattesse la sventura».

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