Arte

Il fascino dell'apocalisse: "White Disaster" di Warhol battuto per 85 milioni di dollari

Si rivaluta la parte più dark dell'opera dell'artista pop. Anche nei musei

Il fascino dell'apocalisse: "White Disaster" di Warhol battuto per 85 milioni di dollari

Mercoledì sera, da Sotheby's, a New York, sono bastati due minuti per vendere a 85,4 milioni di dollari il monumentale White Disaster di Andy Warhol, un'opera allucinante e morbosamente ipnotica, realizzata in serigrafia e grafite, che raffigura per ben diciannove volte, in bianco e nero, la medesima immagine di un rovinoso incidente, quasi fosse colto dal flash di uno scatto fotografico. Quattro metri di altezza di puro horror stradale, firmati dal papà del Pop nel 1963 eppure non poi così diversi da ciò che le cronache ci raccontano tutti i giorni.

Stupisce di questa battuta d'asta non tanto l'ennesimo record, cosa che fa dell'opera in questione una delle più costose di Warhol - dopo l'asta delle aste da Christie's dello scorso 9 novembre, con la collezione Paul Allen venduta a un miliardo e mezzo di dollari, nulla più sorprende -, ma il costante interesse, anche di mercato, verso la produzione di Warhol meno colorata e giocosa, meno squisitamente pop. Altri pezzi della celebre serie «Death and Disaster» hanno ottenuto infatti quotazioni da capogiro in diverse recenti occasioni e un'attenzione al Warhol più intimo e introspettivo si registra nelle mostre in corso, quasi che il pubblico degli anni Venti del Duemila si fosse stufato della «solita zuppa» (Campbell's) e pretenda altro.

Lo dimostra l'antologica che aprirà a fine gennaio al MA*GA di Gallarate il cui titolo, «Andy Warhol. Serial Identity», sottolinea il desiderio di indagare la poliedricità della sua ricerca artistica: tra le duecento opere in programma, diverse sono sugli incidenti stradali. Emblematico, da questo punto di vista, il lavoro di curatela che Achille Bonito Oliva ha svolto alla Fabbrica del Vapore di Milano dove, per la mostra-monstre «Andy Warhol. La pubblicità della forma» (fino al 26 marzo), scandita in trecento opere dagli anni '50 agli anni '80, tutto il Warhol-universo è messo in luce, compreso il lato oscuro. «Andy Warhol - ha detto Bonito Oliva - dà superficie ad ogni profondità. Porta alla luce e all'evidenza di tutti ciò che sta sotto. È stato un vetrinista felice: pochi sanno che ha cominciato a lavorare come allestitore di vetrine, imparando presto a esporre oggetti e cose all'occhio dello spettatore. Warhol è anche un nichilista felice: ha affrontato senza sconti le conseguenze del consumismo della società americana della sua epoca».

Tuttavia, la rappresentazione ossessiva della morte (come degli emarginati della società) non sarebbe mai stata possibile senza l'indomita fede che ha sostenuto l'artista per tutta la vita. Non a caso la mostra milanese dedica al suo spiritual-pop l'ultima sala, la più suggestiva, quella attraverso cui leggere ciò che si è visto prima (Marylin, zuppe, fiori e tutto il fluo immaginario della Factory che ben conosciamo): qui troviamo persino un delicato rifacimento del Sant'Apollonio di Piero della Francesca. Fra tanti santi, Andy Warhol ha scelto Apollonio martire.

Come le tante vittime della strada che ha così spesso evocato.

Commenti