Fassino convince Prodi Ma perde la partita contro i «ribelli» Ds

Il segretario della Quercia protesta col premier e viene invitato al conclave di Caserta. Ma è alle corde sul «caso Rossi» e sul voto segreto al congresso

da Roma

Ha dovuto battere i pugni sul tavolo, Piero Fassino, ma alla fine l’ha spuntata. Il premier si è arreso e per evitare ulteriori grane ha invitato a Caserta il leader dei Ds.
Nella città campana si terrà infatti a breve, l’11 gennaio prossimo, il grande conclave del centrosinistra per tracciare «l’agenda del 2007». Romano Prodi voleva limitarlo ai membri del governo, escludendo i leader di partito, anche per togliere dal tavolo il rischio un nuovo confronto su una «fase due» delle riforme che il premier non ha alcuna intenzione di inaugurare. Ma Fassino dava invece per scontata la propria presenza, con tutta l’intenzione di ritagliarsi quel ruolo di alfiere riformista che è reso tanto più urgente dagli scricchiolii e dai malumori interni alla Quercia che sono deflagrati con l’addio di Nicola Rossi. Il braccio di ferro tra Palazzo Chigi e il Botteghino è andato avanti per una buona decina di giorni. Ieri l’entourage prodiano ha fatto filtrare una velina nella quale si spiegava che da Bologna il premier stava facendo un «giro di telefonate» con i segretari dei partiti dell’Unione allo scopo di fissare una serie di «incontri a due» tra lui e i singoli malcapitati. «Prodi - spiegavano fonti governative a lui vicine - è intenzionato a fare il punto e stilare il calendario di lavoro del governo anche con i leader, prima di fissare l’agenda delle riforme e dei provvedimenti da adottare nel conclave casertano».
Ma la telefonata con Fassino deve essere finita burrascosamente, visto che di lì a poco Prodi si è affrettato a far sapere che la prima giornata del conclave sarebbe stata aperta ai segretari. E solo nella seconda il premier potrà finalmente rinchiudersi coi suoi ministri a fare il punto definitivo.
Fassino ha quindi vinto il braccio di ferro, ma la sua rischia di essere una vittoria solo morale. Il premier ha già chiuso la porta alla «fase due»; ha già sminato la riforma che doveva esserne il banco di prova, quella dell’età pensionabile, che non si farà, e Rifondazione potrà cantare vittoria; e grazie alla riduzione del fabbisogno ha in cassa i soldi per star tranquillo se i conti della finanziaria non tornassero. Ed è convinto, Prodi, che anche la bufera di immagine sofferta durante l’iter della manovra stia ormai scivolando alle sue spalle, e i danni possano essere recuperati in fretta. Non a caso si è buttato sulla campagna contro la pena di morte offertagli da Marco Pannella, che costa poco ma può rendere in termini di popolarità. Oltre al non secondario benefit di aver oscurato l’ingombrante immagine del desaparecido ministro degli Esteri D’Alema.
A Fassino invece resta da affrontare una difficile partita dentro la Quercia. A questo punto il congresso va fissato: l’ipotesi di rinviarlo, che pure era stata accarezzata per tentare di recuperare il dissenso interno sul Partito democratico e depotenziare la «terza mozione» di Angius e Caldarola, che rischia di aprire falle nella maggioranza fassinian-dalemiana, si è infranta contro un dato di fatto. In tarda primavera ci sono le elezioni amministrative, e se i ds non dovessero avere un risultato brillante, come è possibile, un congresso sull’onda di una batosta elettorale potrebbe rivelarsi letale. Quindi meglio anticipare, probabilmente alla prima metà di aprile. I congressi di sezione saranno convocati a febbraio, e voteranno, con ogni probabilità a scrutinio segreto come chiedono le minoranze, per le mozioni e per il segretario. Ma il caso più urgente da affrontare è quello posto da Nicola Rossi con le sue dimissioni e la sua denuncia del «deficit riformista» della sinistra. Il professore ieri era stupito ma anche soddisfatto per la vasta eco causata dal suo gesto, e per le moltissime solidarietà ricevute anche da dentro i ds. Denuncia Stefano Passigli: «Comprendo pienamente il suo disagio di riformista deluso, ma non capisco come i ds possano permettersi di perdere figure come lui: la componente riformista è sempre più emarginata».

Ma Rossi non ha alcuna intenzione di tornare sui suoi passi, come vuol chiedergli Fassino in un incontro che ha sollecitato per i prossimi giorni. Commenta un buon amico ds dell’economista: «Al povero Fassino tocca sempre raccogliere i cocci provocati da D’Alema».

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