Ma Fassino è in ritardo sulla Storia

A occupare i pensieri del mondo politico, e della più vasta umanità che della politica segue gli eventi, contribuisce da qualche tempo Piero Fassino. Ci si chiede perché il segretario Ds abbia preso a ruminare, e tutte insieme, autocritiche e ripensamenti sul suo partito, e su se stesso, che in fondo nessuno gli chiede, non essendo più di alcuna utilità che un politico, che poteva parlare a tempo debito, non avendolo fatto si affanni a rimediare oggi quando tutto ciò non è più di alcun giovamento. Sicché la sua pena, unita alla immagine di Cavaliere dalla Trista Figura che il Fassino è andato acquisendo negli anni lascia in tutti coloro che lo conoscono un disagio e un po’, a furia di vederlo e di sentirlo, un senso tetro della politica.
Una settimana fa il Fassino ci stupì chiedendosi in modo angosciato se per caso non fu un errore non aver tentato di salvare Moro dalla prigione del popolo delle Brigate rosse. Riflessione fra le più improduttive visto che Moro è morto trenta anni fa, che il partito di Fassino, avendo peraltro buone ragioni da far valere, si regolò in modo diverso accusando in più di complicità col terrorismo coloro che allora si posero lo stesso interrogativo dandosi risposte diverse. Nei giorni scorsi, il Fassino ha affrontato l’argomento gulag sovietici, da sempre tabù nel suo partito, restio assai ad accettare l’idea che, nei decenni successivi alla fine dei lager tedeschi, nell'Urss i gulag continuarono a eliminare coloro che si opponevano a un regime di dittatura feroce. Fassino aggiunge che conta di recarsi in Urss a visitare i luoghi nei quali tanti italiani, fuggiti dal loro Paese per sottrarsi al fascismo, trovarono la morte ad opera del socialismo ivi realizzato.
Se il Fassino lo farà sarà una buona cosa, lo sarebbe stata di più se non ne avesse comunicato in anticipo l’intenzione, se questa non avesse coinciso con ripensamenti, altrettanto tardivi, e sospetti perché rivelati tutti insieme , sull’Ungheria, sulla Cina di Mao, su Cuba, sulla sorte di Moro, e ancora per aver condannato Craxi a morire in esilio facendo di lui il capro espiatorio di una operazione che in verità cancellò dalla scena politica italiana tutti i partiti che avevano governato l'Italia dalla Liberazione aprendo la via del governo ai comunisti. Troppo, a questo punto, per chi su certe verità non ha mai avuto dubbi, e in fondo anche per coloro che, a suo tempo, furono tratti in inganno dai tanti Fassino che oggi si liberano, fra le altre, anche di queste colpe.
Fassino ha aggiunto, alle riflessioni e ai propositi che si affollano nella sua mente e nelle sue agende, l’intenzione di assicurare, nel Pantheon del nuovo Partito Democratico, e spero che si tratti di un sito solo immaginario, tutte le grandi anime del socialismo, ma anche del cattolicesimo dossettiano, del liberalismo. Qui in verità il Fassino è stato preceduto a suo tempo da Veltroni che assumendo la segreteria del partito una decina di anni fa esordì con un itinerario cemeteriale che lo portò sulle tombe di don Milani, di Dossetti, di La Pira, di Gobetti da recuperare a un partito che peraltro non cessò dopo di allora di restare quello che è stato fino a oggi. C’è qualcosa di malato in questa mania di cercare all’ombra dei cipressi e dentro l’urne onorate di pianto una Storia che nessuno potrà rendere diversa da quella che è stata.
Un amico che lo conosce bene assicura che Fassino non pensa al suo partito di un tempo, il Pci poi Pds e Ds, ma al nuovo partito, il Partito Democratico. Questo sarebbe più saggio, e Fassino avrà il suo daffare per tramutare le sezioni del vecchio Pci in luoghi frequentabili da chi venga da esperienze diverse, e anche per liberare il nuovo partito dall’egemonismo di un ceto intellettuale che resta il tratto distintivo di una cultura rimasta per gran parte quella di tempi ormai lontani.
a.

gismondi@tin.it

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