Il generale inverno non ha spaventato il signor Arcobaleno. Pioggia, neve, gelo e cielo cupo da mesi: difficile anche allenarsi. Non per Alessandro Ballan, veneto di Castelfranco, che con quella maglia dai cinque colori, si è sentito immune da tutto e ha trascorso un inverno caldo, soprattutto dal punto di vista affettivo. «Non sono certamente diventato un personaggio, perché io resto semplicemente una persona, ma il titolo conquistato a Varese mi ha dato popolarità», dice il campione del mondo, che sabato a Donoratico ha mosso le prime pedalate ufficiali di questa stagione appena incominciata. «Mi sono sempre considerato un uomo fortunato ci dice -. Ho sempre sognato di correre in bicicletta, di diventare un giorno un buon corridore professionista e oggi non posso che essere felice di quanto ho ottenuto. Amo la famiglia, amo la tranquillità, adoro la terra, i campi, l’odore dell’erba a primavera. Mi emoziono quando vedo i campi innevati, adoro sentire l’odore dei prati velati di rugiada. Starei per ore a guardare l’alba e il tramonto. Mi piace la natura e la naturalezza delle cose. Io penso di essere così: naturale. Non ho un volto per le circostanze ufficiali e uno per quelle ufficiose: io sono Alessandro Ballan, punto e basta».
Ora una stagione da numero uno, la più difficile?
«Mi piacerebbe partire bene. Non mi dispiacerebbe affatto fare bene all’Eroica, una corsa giovane ma dal fascino grande. Poi la Roubaix, la corsa delle corse, e quindi il Mondiale di Mendrisio».
Cunego permettendo: Damiano è pur sempre il suo compagno di squadra...
«È un mondiale che gli si addice molto, ma per me sarebbe già importante essere ancora protagonista, pronto a dare una mano, pronto ad essere determinante come a Varese».
Di cosa ha bisogno invece il ciclismo?
«Abbiamo assolutamente bisogno che sia un buon anno. Un anno fatto di vittorie e non di scandali. Un anno fatto di ritorni e non di rimandati. Un anno fatto di gioie e non di dolori. Un anno fatto di agonismo ma non di egoismi».
Daniela, tua moglie, ti chiede anche un po’ d’ordine...
«È uno dei miei difetti: sono disordinato e maledettamente distratto: dimentico tutto».
In che senso tutto?
«La bicicletta no, perché quella per le corse ce l’ha sempre la squadra, altrimenti dimenticherei anche quella. Un giorno ho persino sbagliato aeroporto e orario di volo. Dovevo andare in Belgio con Marco Bandiera. Mi raccomando - gli dico - alle 20 all’aeroporto di Treviso. Sento Marco esitare per un attimo, però non mi dice nulla: sono pur sempre il suo capitano. Invece il volo era un’ora prima da Venezia. Un disastro».
Torniamo al mondiale: cosa si è regalato per questa vittoria?
«Una Ferrari California, arriverà ad aprile, ma per il momento ho una 430 in uso. Poi una moto nuova: una Ktm Super Duke, per andare su strada. Per il fuoristrada ho una Ktm Squarn».
Il fuoristrada, un modo come un altro per stare in mezzo alla natura...
«Io di base sono un contadino. Papà Adone (morto undici anni fa, ndr) coltivava fiori. Aveva una bellissima serra e io andavo spesso a lavorare con lui. Mi piaceva guidare il trattore e arare la terra. Il ciclismo, la moto da cross, sono tutti elementi che mi fanno stare sulla terra, con i piedi ben saldi. Io sono un tipo pigro, ma con un grande senso del dovere. Se c’è da fare una cosa, la faccio al meglio. Stare all’aria aperta, poi, è la cosa che più mi piace. Sono attratto dalla natura. La natura è magia».
La svolta della tua vita?
«Come uomo quando ho conosciuto Daniela, da corridore quando ho incontrato Mario Casolato, il primo direttore sportivo alla Uc Giorgione. Poi la famiglia Gastaldello, che mi ha permesso il passaggio al professionismo con la maglia della Lampre. Io devo molto a loro, ma adesso anch’io qualcosa ho dato».
La svolta al mondiale di Varese?
«Quando Paolo (Bettini, ndr) ha preso in mano le operazioni del gioco. Per più di cento chilometri abbiamo avuto problemi con la radio. La tattica l’ha fatta Paolo, ho temuto che avessimo aperto le danze troppo presto, invece alla fine si è rivelata la condotta di gara perfetta».
Scusi, Ballan, ha un sogno nel cassetto?
«Tanti: la Roubaix, una Sanremo, un altro Fiandre, ma soprattutto correre almeno una volta il Giro d’Italia.
Lei però alla presentazione del Giro non si è fatto vedere.
«Permette la battuta? In borghese e senza la maglia di campione del mondo, era il modo migliore per farmi notare».
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