Roma - Se persino Silvio Berlusconi parla di «primitiva maggioranza» e «primitiva opposizione», qualcosa è proprio cambiato e anche i più bellicosi si stanno rassegnando all’idea di dover convivere nei prossimi mesi - e dalla stessa parte della barricata - con gli odiati ex nemici. E possibilmente combinare anche qualcosa insieme a loro, di qui al 2013.
Così rinasce dalle sue ceneri l’eterno tormentone della politica italiana, quello delle riforme istituzionali, ovviamente da fare «insieme» e ovviamente a partire dalla legge elettorale (su cui pende ancora il referendum su cui la Consulta si pronuncerà a metà gennaio). Ieri lo stesso Berlusconi ha lanciato il primo ballon d’essai: modificare almeno il premio di maggioranza del Senato, ossia quello che rischia di consegnare all’Udc la golden share di ogni futura maggioranza. Difficile quindi che la proposta piaccia a Casini. Che dei tre capipartito di maggioranza (già ribattezzati ABC) chiamati dal Colle a darsi da fare per un’agenda di riforme è il più convinto: per il leader Udc l’obiettivo è quello di rendere stabile anche per la prossima legislatura uno scenario di «grosse koalition» a baricentro centrista, che eviti al suo partito di dover scegliere con chi stare e che renda lui medesimo il candidato di mediazione più naturale per il Colle (o in subordine, se andasse male per eccesso di concorrenza, per la presidenza del Senato). Per A e B, Alfano e Bersani, si tratta più che altro di tentare di salvare la pelle politica, e di non venire travolti dagli scontri fratricidi nei loro partiti e dalla scomposizione degli ex poli: «Il Pdl sembra il Pd», ironizza a proposito di faide interne un dirigente bersaniano.
Non a caso Bersani ieri ha bocciato l’idea della «cabina di regia» a tre, avallata da Berlusconi, e affermato che al dialogo sulle riforme vanno sì dedicati i prossimi mesi, ma che non deve restare interno alla sola maggioranza: «Anche Idv e Lega vanno coinvolti». Il leader del Pd non vuole perdere il contatto con la famosa «foto di Vasto», l’alleanza a tre con Vendola e Di Pietro. Anche perché, sebbene stia tramontando il sogno che ancora qualcuno attorno al segretario Pd carezzava, un voto anticipato la prossima primavera, comunque nel 2012 ci sarà un test elettorale amministrativo. E Bersani teme un travaso di voti a sinistra, che lo indebolirebbe.
Peraltro sa di dover giocare in difesa anche in casa, visto che almeno mezzo Pd sta lavorando ad uno scenario che superi non solo la foto di Vasto, ma anche la sua leadership e lo stesso Pd: da Veltroni ai lettiani a Franceschini, che si è esposto chiedendo il ritorno al proporzionale e la fine delle alleanze «obbligate», si punta a stabilizzare l’intesa «ABC» creando le basi per una futura coalizione con Casini e con quelli che vengono definiti «i liberali» del Pdl, Alfano in testa, togliendo di mezzo gli ex An e gli oltranzisti alla Sacconi. Uno scenario in cui la divisione dei ruoli potrebbe prevedere il Quirinale all’Udc e la premiership ad un moderato Pd. Quanto ad Alfano, che ha pretese meno rutilanti, si spera che si possa accontentare di fare il leader di questo rinnovato Pdl, cui qualcuno dal Pd gli ha già suggerito di cambiare nome: «Chiamatevi “liberali”, è il marchio che manca alla politica italiana: potreste puntare ad un bel 15%».
Anche Berlusconi, assicurano i registi di questo copione, si starebbe convincendo: «Sa che la Lega non torna più con lui, e che Casini non si allea col Pdl. E seppure si alleasse non basterebbe a vincere». Quindi tanto vale stare tutti insieme.
Fino al verdetto sul referendum, però, i giochi sono sospesi e gli incontri tra segretari pure: «A seconda della decisione della Corte cambia tutto: se ammette il quesito, la base sarà necessariamente il maggioritario del Mattarellum; altrimenti si finirà sul proporzionale», prevede il Pd Ceccanti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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