LA FAVOLA DEI BURATTINAI

Se al cuore non si comanda, figuriamoci a quel po' di cervello: è stato più forte di loro, non ce l'hanno fatta a controllarsi. E così, a commento della guerriglia scatenata a Milano dai «bravi ragazzi» dei centri sociali, l'Unità di ieri se ne è uscita con un editoriale - a firma Oreste Pivetta - dal titolo «Chi li manda?». Puro stile anni Settanta, quello del Giorgio Bocca di «L'eterna favola delle Brigate Rosse», articolo che firmò per Il Giorno nel febbraio del '75: «A me queste Br fanno un curioso effetto, di favola per bambini scemi o insonnoliti; e quando i magistrati e gli ufficiali dei Carabinieri e i Prefetti cominciano a narrarla, mi viene come un'ondata di tenerezza, perché la favola è vecchia, sgangherata, puerile, ma viene raccontata con tanta buona volontà che proprio non si sa come contraddirla».
E anche: «Questa storia è penosa al punto da dimostrare il falso, il marcio che ci sta dietro: perché nessun militante di sinistra si comporterebbe, per libera scelta, in modo da rovesciare tanto ridicolo sulla sinistra». Parole e concetti ripetuti pari pari trent'anni dopo da Oreste Pivetta: chi li manda questi «teppisti campioni di imbecillità», questi «cretini in arme»? «Viene il dubbio, in considerazione della loro giovane età e della loro imbecillità, che qualcuno li abbia semplicemente usati. Che qualcuno insomma abbia fatto il regista. Non sarebbe la prima volta».
Non sarebbe la prima volta, caso mai, che la sinistra così ben rappresentata dall'Unità nega l'evidenza addossando a «registi» non occulti i misfatti di casa propria. Negli Anni di piombo il quotidiano fondato da Antonio Gramsci sosteneva infatti che i brigatisti rossi erano «sedicenti», «fantomatici», «professionisti della provocazione», «torbidi provocatori della strategia della tensione malamente travestiti da rivoluzionari». Non era la sola a sostenere l'insostenibile. Panorama di Lamberto Sechi si domandava se le Br non fossero semplicemente «una organizzazione di estrema destra camuffata o se addirittura qualche gruppetto nazimaoista o fascista non abbia usato la sigla e i metodi delle Brigate Rosse per aumentare la tensione a Milano». Andrea Barbato sulla Stampa chiosava sul «colore incerto» del brigatismo rosso («I più sanno che il pericolo è nero»). E il magistrale ragionamento di Guido Gerosa sul Corriere d'Informazione? Poiché il segretario del Msi, Giorgio Almirante, sosteneva che le Brigate rosse erano rosse, se ne doveva necessariamente dedurre che erano nere. E la «rivelazione» di Luciano Violante? Le Brigate rosse si addestravano nel campo paramilitare fascista di «Ordine nuovo», ergo... Quante cose tornano alla mente leggendo l'editoriale di Pivetta. Torna alla mente la ferma e civile indignazione di Eugenio Scalfari per il rapporto nel quale il Prefetto di Milano, Libero Mazza, si permise di parlare di violenza rossa: «Il prefetto è uno sciocco, che non capisce quanto accade, o un fazioso che non vuole capire. Milano merita un prefetto della Repubblica, non un portavoce della così detta Maggioranza silenziosa, che poi non è altro che una querula minoranza». Torna alla mente il Corriere della Sera di Piero Ottone, secondo il cui illuminato giudizio gli ultrà erano sempre e solo di destra, fascisti «attratti da miti aberranti». E se mai se ne fossero registrate, le violenze della sinistra andavano considerate semplici, banali, ingenui «comportamenti irresponsabili».
Anche l'argomento risolutivo cui ricorre l'Unità per dimostrare che le molotov e la guerriglia urbana non possono essere opera che di fascisti «malamente travestiti da rivoluzionari», è lo stesso fatto valere trent'anni fa dai Bocca, dagli Ottone e dagli Scalfari per sostenere che le Brigate rosse non erano rosse: «Non contano - scrive Oreste Pivetta - la storia, la tradizione democratica, la civiltà o una volontà comune di isolare i violenti», che è consustanziale alla sinistra? Si può indulgere, volendo, su molte cose: sull'ipocrisia, sulla sclerosi culturale, sul marasma intellettuale, sugli ictus da overdose ideologica, ma non sulla malafede.


Volontà comune di isolare i violenti? Mettendo in lista - anzi, a capolista - il «disobbediente» Francesco Caruso che si considera «uno di Hamas all'italiana» e sul quale pendono 23 procedimenti giudiziari proprio per violenza?

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