Per favore sulle «Dop» non facciamoci fregare come sulle quote latte

Caro Granzotto, da molto tempo si riuniscono a Bruxelles, come è giusto, i rappresentanti di organismi pubblici per discutere sui contenuti e sul significato delle Denominazioni di Origine Protette (DOP) destinate a sostituire le DOC, le famose Denominazioni di Origine Controllate. Se queste riunioni si protraggono da molto tempo vuol dire che il consenso per una posizione comune, accettabile da tutti, non è poi così scontato. Infatti pare che le posizioni dei rappresentanti nazionali fermamente convinti a non abbandonare il principio del «territorio come origine qualificante» si scontrino con quelle della Commissione europea che vorrebbe privilegiare solo la «qualità del prodotto indipendentemente del suo luogo di origine/produzione». Senza entrare nel merito, che da ignorante mai mi permetterei, penso che se vogliamo proteggere e valorizzare un prodotto basandoci su parametri obiettivi, affidabili e soprattutto verificabili, in primis si debba avere la certezza da dove provenga tale prodotto: il postulato gastronomico universale si fonda sulla conformità dell’origine territoriale, sugli usi tradizionalmente costanti su quel territorio e sui fattori del gusto e dei sapori specifici in uso in tale territorio. La Commissione agli inizi degli anni ’90 pubblicò un Inventario dei prodotti tipici europei: se non ricordo male erano elencati poco più di 4000 prodotti, la maggior parte (circa 80%) italiani e francesi! Si volle allora descrivere non solo il prodotto, ma anche la sua «origine» nel senso lato del termine, cioè quella complessità e specificità di uno spazio geografico determinato da un territorio, un clima, una diversità biologica e la cultura degli abitanti che lo abitano. Opera meritoria ma di cui si è perduta ogni traccia. Io penso che se abdichiamo a questi principi, saremo costretti ad appiattirci sui criteri e obiettivi tipici dei paesi anglosassoni, che non sono altro che gli obiettivi delle lobbies agro-alimentari multinazionali. Speriamo che la Coldiretti, sempre in prima linea nella difesa degli interessi italiani, sia vigile ed agguerrita.

Bruxelles


La ringrazio, caro Rossetto, per puntualmente segnalarci cosa bolle nella pignatta europea, cosa si combina, zitti zitti quatti quatti, a Bruxelles. Lei sa che mi manca lo spirito e l’entusiasmo europeista e che detesto la ventosa, mastodontica e costosissima euroburocrazia, fonte solo di guai. Non mi stupisco, dunque, che quei bei tomi intendano l’origine di un prodotto alimentare non la sua provenienza geografica, ma, in un guizzo di creatività dadaista, la qualità del prodotto medesimo. Ciò che poi autorizzerebbe l’invasione sul mercato - solo per dirne una - dei vari «parmesan», «parmisano» o «parmicciano» avendo spogliato il parmigiano - cacio sublimissimo - della sua unicità e del relativo diritto di chiamarsi, lui solo, così. Mi unisco dunque alla sua speranza e cioè che la Coldiretti, ma direi anche e forse soprattutto Francesco Saverio Romano, il neo ministro dell’Agricoltura (o meglio, delle Politiche agricole e alimentari, e sottolineo alimentari) sventino ogni manovra europea ai danni della irripetibilità di molti eccellenti prodotti italiani. Nel nome degli ideali europei ci lasciammo fregare sulle quote latte (accettando di produrne in quantità inferiore al fabbisogno nazionale).

Che questa volta non si cada nello stesso errore sacrificando all’omologazione, alla massificazione comunitaria (e ai desiderata delle multinazionali) i gioielli della nostra tradizione alimentare. Il ministro batta un colpo, per favore.
Paolo Granzotto

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