«Favori ai boss? Sì, ho imposto il carcere duro...»

Claudio Martelli, ha sentito? Spatuzza parla di lei...
«Storie vecchie di vent’anni...», replica secco. L’ex ministro di Giustizia non ci sta.
Parla di voti della mafia ai socialisti, a lei in particolare
«Già. Ha detto che all’epoca ero capolista in Sicilia, che i voti sono andati al Psi. Quella del signor Spatuzza non mi sembra esattamente una novità. Sono 20 anni che, ciclicamente, se ne parla. È già stato tutto chiarito».
Il pentito fa riferimento a una quaterna di «crasti» socialisti, al dunque inaffidabili, per cui lui personalmente, e tutti a Brancaccio si mossero per far votare Psi.
«Nel 1987, in tutta Italia, il partito socialista ha avuto il record dei suffragi, dunque non solo a Palermo e a Brancaccio, quartiere di Spatuzza. Eravamo stati i firmatari di un referendum insieme ai radicali sulla giustizia giusta dopo il caso Tortora...».
Come si spiega questa uscita di Spatuzza?
«Forse qualche cosca può aver scambiato la nostra difesa dei diritti, anche degli imputati, con una specie di tutela estesa a tutti. Dimostra solo che sono degli ignoranti. In ogni caso, se c’è stato uno scambio con Cosa nostra, lo scambio è stato il seguente: che loro a noi hanno dato un po’ di voti, e io a loro ho dato il 41 bis. Il carcere duro».
Perché lei ha impiegato 17 anni per parlare della «trattativa»?
«Perché recentemente è stata Liliana Ferraro, una dirigente vicina a Falcone, a ricordarmi di quando gli ufficiali del Ros le parlarono di certe cose sull’ex sindaco di Palermo, Ciancimino, e che lei me lo disse all’epoca».
Quanto le riferì la Ferraro all’epoca sarebbe stato importante dirlo ai processi sulle stragi...
«Lo è oggi importante, non allora. Nel ’92 non c’era un’inchiesta simile. La mia è una testimonianza de relato, su un colloquio avuto dalla Ferraro con De Donno del Ros. Io parlai con la Ferraro nel giugno del ’92, al massimo un paio di minuti: questo non può essere catalogato come una rivelazione fondamentale. La Ferraro non parlò di trattativa. Mi riferì che i Ros ritenevano, avendo agganciato Ciancimino, di poter seguire questa pista investigativa. Dei racconti della Ferraro mi colpì che i Ros se ne fregavano della legge istituiva della Dia, e facevano di testa loro».
Perché la Ferraro ha atteso 17 anni per parlare?
«Forse perché non è mai stata interrogata prima».
Torniamo alla trattativa. Ciancimino stava per collaborare...
«Quando i magistrati mi invitano a testimoniare vado a parlare con Piero Grasso, con Liliana Ferraro, con Giannicola Sinisi, con Livia Pomodoro, con i collaboratori dell’epoca: voglio rinfrescare la memoria per essere sicuro di quel che vado a dire. È lì che la Ferraro mi fa ricordare di avermi detto questa cosa, diciassette anni prima. Così come ho ricordo di un episodio successivo, riemerso sempre in questi colloqui: nell’autunno del ’92 Liliana Ferraro mi riferì che Mori era tornato da lei per chiedere di sviluppare i colloqui investigativi in carcere, pur non avendo loro titolo. Pensavano che Ciancimino, che era in libertà vigilata, potesse essere utile alle indagini: proposero di dare il passaporto a Ciancimino! Di questo mi preoccupai molto.

Chiamai il procuratore nazionale antimafia Siclari e gli dissi: senta valuti un po’ lei, parli coi Pm, prendete voi la decisione, a me sembra molto strana questa richiesta. Il passaporto non fu più dato, Ciancimino poi venne arrestato».

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