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«Febbre dei maiali», «No è la messicana» E il mondo litiga sul nome da dare al virus

Il virus c’è, ma non chiamatelo maiale. L’insidia è nella definizione. Pochi giorni dopo l’allarme globale scoppia la grana. «La chiameremo influenza messicana e non influenza suina». A pronunciare la prima sentenza è lui, Yakov Litzman: barba bianca e lungo abito nero, rabbino, membro ultraortodosso di «Ebraismo Unito nella Torah».
Il maiale è un animale impuro. E a nominarlo ci si infetto due volte. Nell’aria c’è paura di incidente diplomatico, di offesa. Messico, Stati Uniti, Canada, Svizzera, Inghilterra, Israele, Giappone. La paura rimbalza da uno Stato all’altro. Contagiati e sintomatici allarmismi, numeri che si gonfiano, stime impazzite. È epidemia, pandemia, la macchia si allarga, gli Stati tremano. Comunicati stampa, controlli all’aeroporto, termometri nelle orecchie a misurare la temperatura dei passeggeri, qualcuno invoca la chiusura delle frontiere, altri la quarantena. Tutti puntano il dito contro il maiale messicano. Peggio di una sollevazione popolare globale. Ognuno ha i propri motivi: religiosi, economici, pignoli.L’orgoglio messicano insorge contro la provocazione d’Israele. La frase proprio non piace all’ambasciatore del Messico, Federico Salas Lofte, che protesta: «Dire influenza messicana ci offende». L’affaire varca la frontiera del Paese latino proprio nel giorno in cui Israele confermava i suoi due primi casi di contagio accertato, ma insultare un Paese è troppo. «Un insulto». Alla proposta israeliana del ministro fa eco quella dell’Unione europea, altre ragioni, ma il punto è sempre quello: il maiale non c’entra. La carne si può e si deve mangiare, altrimenti che guaio per l’economia. La commissaria europea alla Sanità, Androulla Vassiliou è allora subito intervenuta: «Dire influenza da suini dava un’idea sbagliata. La carne di maiale non va demonizzata. Si chiamerà Nuova influenza». Molti si sono chiesti allora come si potrà chiamare quella che verrà dopo, perché un dopo ci sarà di sicuro e allora magari, dopo quella dei polli, delle pecore, delle mucche, sarà la volta dei pesci. E allora il problema della definizione tornerà. Intanto il rebus etimologico si espande più veloce del virus. Le autorità sanitarie degli Stati Uniti fanno sapere che preferiscono dire «H1N1». Pragmatici e scientifici. Per non offendere nessuno, per chiamare le cose con il giusto nome. «Non è corretto parlare di influenza suina - fa sapere il ministro dell’agricoltura Tom Vilsack -. È depistante e complica le cose».
La verità è che in questo mondo dove basta uno starnuto per far crollare borse e mercati, dove si vive con la paura della prossima tragedia, dove la malasorte corre e diventa un fiume in piena, anche i nomi non sono più un particolare. Non dite porco, maiale, suino. Non bestemmiate. Il virus si insidia, si insedia, prende varie forme. Oggi è il maiale, domani chissà. L'unica cosa certa è che qui ogni anno c’è un nuovo terrore alimentare.

Questo maledetto virus, magari, chiamiamolo nessuno.

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