Fed e Fondo monetario divisi sulla «fine crisi»

MIGLIORAMENTI Negli Stati Uniti si attenua la caduta dei consumi familiari

È considerato il falco per eccellenza, l’uomo ossessionato dagli spettri dell’inflazione, un autentico gianburrasca della politica monetaria statunitense. Uno che non ha mai paura di votare in direzione ostinata e contraria rispetto al compatto board della Federal Reserve. Jeffrey Lacker, presidente della Fed di Richmond, è fatto così: ama le posizioni scomode, minoritarie, quelle che ti permettono - se ne hai il coraggio - di dire ciò che vuoi. Prendete per esempio Ben Bernanke, appena riconfermato sullo scranno più alto della banca centrale Usa: sulla delicata questione dell’exit strategy, cioè l’eliminazione delle misure di stimolo economico, l’ex professore di Princeton si è sempre mosso con i piedi di piombo. Lacker è invece un po’ meno cauto, fino a ventilare la possibile rimozione dei provvedimenti straordinari varati dalla banca centrale.
«L'economia sembra essersi stabilizzata e credo che possiamo guardare avanti verso tempi migliori», è la sua premessa. Parole che non fanno una grinza. Il punto di caduta più basso appartiene al primo trimestre 2009, con una picchiata del Pil pari al 6,5%. Nel secondo, il calo si è arrestato all’1%. La conferma è arrivata ieri con la seconda lettura del dipartimento al Commercio Usa. Il dato è migliore rispetto alle attese (-1,5%) ed è corroborato dalla minore contrazione dei consumi privati (-1% contro il -1,2% preliminare) e da una correzione superiore alle stime delle scorte aziendali che dilata ora i margini per riavviare la produzione.
Entro fine anno, tuttavia, il banchiere di Richmond si aspetta un bollettino sanitario decisamente migliore, cioè un ritorno alla crescita. E, dunque, guarda già oltre la trincea della recessione: la Fed dovrà muoversi prima che la ripresa si sia completamente ristabilita, spiega. Con un aumento dei tassi? Lacker non ne parla, anche se l’assunto da cui parte ha evidenti implicazioni con l’evoluzione del costo del denaro. In ogni caso, aggiunge, sarà «necessario calibrare attentamente gli acquisti di titoli a lungo termine» onde evitare di dare troppi stimoli all’economia. A un certo punto, prosegue, il sistema creditizio non dovrebbe più avere bisogno di prestiti per ottenere il livello desiderato di riserve.
Le parole di Lacker sembrano indicare che all’interno della Fed si sta creando un po’ di pressione per ritirare le misure d’emergenza. Con quali modalità e quale tempistica resta tutto da verificare. Le stesse banche citate da Lacker devono ancora dar prova di aver recuperato stabilità e solidità. Nel secondo trimestre, sulla base dei dati di ieri del Fdic (l’ente federale che garantisce i depositi) proprio i maggiori accantonamenti effettuati per far fronte agli asset tossici hanno causato agli istituti Usa perdite per 3,7 miliardi. E il numero di banche in crisi - ben 416 - non è mai stato così alto dal 1994.
Il Fondo monetario internazionale continua del resto a considerare prematura la messa in atto di una exit strategy. «L’economia mondiale sta migliorando, e accogliamo positivamente i dati sul Pil Usa, che confermano questa stima - ha detto il direttore del dipartimento relazione esterne, Caroline Atkinson -.

Tuttavia riteniamo che ci saranno ancora vulnerabilità e che sarà necessario mantenere i sostegni di politica economica per alleviare la severità della recessione». Il direttore del Fondo, Dominique Strauss-Kahn affronterà il tema con i leader mondiali al G20 in programma a Pittsburgh dal 22 al 25 settembre prossimi. Il dibattito è aperto.

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