Milano - Impartite le direttive ai redattori, Emilio Fede esclama «speriamo abbiano capito», alza gli occhi al cielo e si dedica a me. Appena nello studio, bussano. I grafici vogliono mostrargli il «promo» di Password. È il nuovo settimanale del Tg4, presto in onda in prima serata. Li scorta la segretaria del direttore, pronta a rabbonire il medesimo se ha scatti di nervi. Fede guarda, borbotta, trova difetti e, prima che si arrabbi, la collaboratrice lo distrae con un caffè.
Di nuovo soli, squilla il diretto. È Diana De Feo, da 44 anni sua moglie, giornalista Rai e neo senatrice del Pdl. Diana è a Napoli e non trova di meglio da dirgli che laggiù c’è il sole e il mare azzurro. «Noooo», ulula dolorosamente Emilio e lo sguardo erra dalla finestra su Milano 2. Una pioggerella punteggia il laghetto del Palazzo dei Cigni e un display velato di nebbia indica che siamo a zero gradi.
«Che vita! - geme -. Dall’alba alla notte qui. Mi alzo, faccio una doccia calda, una gelata e alle nove sono in studio».
«Evita quella gelata. La vita migliora», consiglio.
«È che sono indispensabile. Vorrei avere un successore, ma non c’è. Vorrei delegare, ma non posso. Sono condannato», sospira. Ma aggiunge subito, a scanso di equivoci: «Però, va bene così».
«Chi scalpita per occupare il tuo posto?», stuzzico.
«Uuuuu. È più facile dirti chi non scalpita. Considero però un’ambizione legittima voler dirigere un Tg, da Maurizio Belpietro a Mario Orfeo (direttore del Mattino, ndr). O il mio vice, Francesco Tartara. Se lo meriterebbe dopo diciotto anni al mio fianco. Uno che ci ha provato in tutti i modi è Cecchi Paone. Ma lo ha stoppato il Cavaliere in persona», dice compiaciuto.
«Il tuo amato Cav e la tua esagerata fedeltà verso di lui», mormoro.
«Fedeltà che si è trasformata in amicizia fraterna. Lui è il vero amico che ho. Mi fa telefonate affettuose e visite improvvise. Preavverte le segretarie, ma dice di non dirmelo. Poi, passiamo insieme le mezzore».
«E che vi dite?».
«Parliamo della vita».
«Il Cav punta ai 120 anni per sé e Mike Bongiorno. Sei della partita?».
«Certo. Lui ama molto la vita. Anch’io. Ne parliamo e concludiamo: siamo due ragazzi».
«Il laticlavio a Diana è un grazioso regalo del Cav al suo Emilietto?», chiedo. Si intenerisce, reclina con modestia il capo e dice: «Sì. Ma anche stima per la cultura di mia moglie. Stima condivisa da Confalonieri che sfotte: “Diana è la parte buona della famiglia”. Anche Veronica Lario ama Diana».
«Siete tutto un parentado», chioso.
«Se circolano voci su mie pretese scappatelle, Veronica è la prima che mi richiama all’ordine. E anche Silvio».
«Da che pulpito!», rido.
«Sapessi che nonno è Silvio. Stravede per Gabriele, il più piccolo. Ho avuto il privilegio di trascorrere il Natale con loro. Unico non parente. Il bimbo cercava sempre il nonno, il nonno il nipotino», dice con voce flautata. Si riscuote, telefona alla segreteria e chiede: «Ho fatto qualcosa di male?» e le ricorda che ha dimenticato di portargli la tisana. Arriva l’infuso avvolto nel fumo e nelle scuse della scordarella.
«La tua partigianeria pro Cav è costata al Tg4 una multa del Garante di 450mila euro», gli ricordo.
«Chi più spende, meno spende. Il prezzo valeva un’onesta informazione sul come stanno davvero le cose, al di là del becero conformismo antiberlusconiano alla Santoro», dice secco.
«Nei tuoi eccessi filo Cav, vedo ironia. Altri però ti detestano».
«Ma molti, anche a sinistra, mi amano. Ho ottimi rapporti, per dire, con D’Alema e Diliberto».
«Sui blog scrivono di te: marchettaro, merda, spalatore di letame per maiali».
«Ricevo anche lettere e telefonate minatorie. Dopo la bomba al Tg4 degli anarco-insurrezionalisti, sono protetto da tre carabinieri. Cominciarono le Br. È dal 1981 che sono sotto scorta».
«Addirittura minacce».
«Ti dirò di più. Porto con me il cellulare anche in trasmissione, nel caso di notizie dell’ultimo minuto. Be’, quando comincio a parlare di politica, qualcuno lo fa squillare», alza l’indice e indica il piano di sopra.
«Boicottaggio in casa?», chiedo.
«Lo sapremo presto. Un magistrato, una signora determinata, ha preso la cosa molto sul serio».
«Il tuo Tg compie 18 anni. La maggiore età, quella in cui i figli si ribellano ai genitori. Molti qui ne hanno le tasche piene di te».
«Vale anche l’inverso. I genitori possono cacciare i figliastri. Forse, do fastidio. Ma la percentuale dei disapprovanti - per ragioni politiche o per le mie sfuriate - sono cinque su 60».
«Sei davvero così isterico come mostrano i fuori onda di Striscia la notizia o fai apposta?».
«Sono io, quando mi fanno girare le palle. Poi, mi passa perché con i redattori ho rapporti di affetto».
«Ti chiamano Miranda, come l’insopportabile direttrice di Il diavolo veste Prada. Anche tu umili a capriccio».
«A capriccio, mai. A fin di bene, sempre. Pretendo l’amore per la professione e per l’azienda che garantisce a tutti - anche in un periodo come questo - un posto sicuro».
«Non sei un tiranno?».
«Ho un bisogno fisico di fare più elogi che rampogne. Tanto nessuno, col mio curriculum, può tagliarmi la strada. Ti do un esempio. Ho una redattrice, Francesca Ambrosini, che ha fatto un servizio su Scampia da premio St. Vincent. In 48 anni, mai visto niente di simile», dice e la fa chiamare. Francesca arriva. Graziosa, sulla trentina. Fede le prende la mano, le sbaciucchia un ditino, poi l’altro e le chiede retoricamente: «Hai mai fatto un’assenza? Hai mai chiesto un aumento?». Lei lo lascia fare e dice a me: «Mi ha letteralmente trasmesso la passione» e mima la trasmigrazione delle energie da lui a lei. Sorride ed esce.
Ti consideri il miglior direttore di Tg?
«Tra i pochi che sanno cosa sia comunicare. Nei giornali ho avuto direttori come Vigorelli e Missiroli. In tv mi sono formato con Enzo Biagi. Inviato in Africa, ho fatto inchieste, diretto il Tg1, fondato il Tg4. Chi, al di là dell’anagrafe, può vantare altrettanto?»
Però non hai mai diretto il Tg5, l'ammiraglia Mediaset.
«Non l’ho voluto. Il Tg4 è uno spazio mio. È il Tg di Emilio Fede».
Da una pezza hai superato i 70. Quando molli?
«Mai pensato nella vita di mollare qualcosa cui tengo. Poi ne soffrirebbe troppo Antonio Ricci per Striscia».
Siete amici?
«Adesso molto. Anni fa stavo invece per querelarlo per delle battutacce che aveva fatto dire ad Alba Parietti. Succedeva negli studi qui sopra. Dovettero fare uscire la Parietti da un’altra porta mentre io urlavo: “Troia comunista”. Ora siamo tutti amici».
I migliori giornalisti tv?
«Mentana per come conduce. Apprezzo la faziosità intelligente di Floris. Poi, la Gabanelli. Non condivido, ma la sua è una signora tv di inchiesta».
Santoro?
«Uno che si tinge i capelli e prende una principessa come spalla, mostra una personalità logora».
Lo scontro su Israele con Lucia Annunziata?
«Penoso. È stato di una squallida faziosità. Per essere faziosi bisogna essere intelligenti. Lui invece esonda. Al suo posto, mi sarei dimesso».
Gli islamici al Duomo. Atto di fede o di sfida?
«Se riferito alla sola preghiera ne ho grande rispetto. Sbaglia chi critica qualsiasi religione. Lo dico essendo schierato, di più, per Israele. Nel bosco del Negev degli amici di Israele, c’è un albero intestato a Emilio Fede».
Un sobrio giudizio sul Cav?
«Ha dato molto di più di quel che ha ricevuto».
Cosa saresti disposto a fare per lui?
«Ciò che faccio. Dare me stesso per ciò a cui lui crede».
Chi tra i politici ti sta più sullo stomaco?
«L’unico politico, tra virgolette, che mi è indigesto è Di Pietro. Opportunista, rancoroso, non garantista. Dovessi stringere la mano, la darei più volentieri a Prodi che a lui».
Il presidente Napolitano?
«Pieno di saggezza. Ci voleva dopo la tragedia di Oscar Luigi».
Veltroni o D'Alema?
«D’Alema. È più valido e duraturo».
Casini?
«Spero, per lui, che sia quanto prima il figliol prodigo».
Tra i giornalisti che furono, Montanelli, Biagi, Brera, ecc., di chi senti più la mancanza?
«Nel cuore ho Biagi. Mi ha assunto in Rai dopo una trasmissione cui collaboravo. Dirigeva il Tg1. Davanti a me telefonò al direttore generale, Bernabei. “O lo assumi o mi dimetto”, disse. Mi ha cambiato la vita. Come Berlusconi e Craxi» (indica sulla parete una foto con Bettino).
Come va con i tuoi vecchi vizi, tipo il gioco d’azzardo?
«Finito. Una questione morale».
Il filo alle tue giornaliste. Seduci o ricatti?
«Le seduco umanamente per suscitare la passione del mestiere. Come con Francesca».
Se vai più in là, come reagisce Diana?
«Con un micidiale: “Ricordati che sei nonno”».
Due marzullate per finire. Cosa pensi che gli altri pensino di te?
«Chi mi conosce sa che sono generoso e di grande onestà professionale. Gli altri che sono un maggiordomo, un servo sciocco, un arrogante, ecc».
Cosa pensi tu di te?
«Che sono un imperdonabile egocentrico e permaloso».
Non ti buttare giù.
«Era un avvertimento: sta attento a come scrivi di me e di Berlusconi».
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