Roma - Stop ai trucchetti nei conti delle Regioni. Sei mesi prima della scadenza del mandato del governatore tutte le amministrazioni dovranno esibire i conti in modo chiaro e certificato in quello che viene definito «l’inventario di fine mandato». Una sorta di radiografia del bilancio che dovrà rivelare inequivocabilmente se i conti sono a posto oppure no, dando così anche un importante elemento di valutazione per gli elettori che di lì a sei mesi dovranno scegliere chi votare.
Il governo, dunque, dice basta agli «artifici contabili» che servono a nascondere «l’assoluta precarietà dello stato patrimoniale» dei bilanci di alcune Regioni. Come costringere le amministrazioni a rinunciare ai loro trucchetti? La risposta sta nell’attuazione del federalismo, «unica via per superare le attuali anomalie», come è scritto nella Relazione sul federalismo trasmessa dal governo al Parlamento il primo luglio scorso.
Proprio in uno dei decreti attuativi che l’esecutivo conta di mettere a punto entro la fine di luglio saranno inserite una serie di norme a garanzia dei conti delle Regioni. Nel mirino del governo soprattutto la spesa sanitaria che assorbe l’80 per cento dei bilanci locali e che è la causa principale degli sforamenti di budget e del profondo rosso nei conti ad esempio di Lazio, Campania e Calabria.
Il modello federalista, sostiene l’esecutivo, può garantire in tempi brevi «notevoli risparmi e migliori servizi» purché la governance sia strutturata con un sistema «di forte responsabilizzazione». Occorre dunque individuare «nuovi e puntuali strumenti di verifica» che consentano di attivare «meccanismi di certificazione». Tra questi «l’inventario di fine mandato», una dichiarazione certificata da parte di organi di controllo interno dell’amministrazione e uno strumento «di rendicontazione d’uscita» del presidente della Regione. Un gruppo di tecnici dovrà esaminare i conti e la valutazione finale sulla gestione del governatore dovrà essere votata dal Consiglio regionale. Il via libera all’inventario dovrà arrivare sei mesi prima delle elezioni. I cittadini avranno tutto il tempo di valutare insomma se è il caso o no di scegliersi un altro presidente. Attraverso il rendiconto si potrebbero distinguere «le responsabilità economico-patrimoniali di chi esce con chi entra» non soltanto alla guida delle regioni ma anche alla direzione delle strutture sanitarie. Non solo. Sarebbe più facile valutare ad esempio l’adeguatezza delle leggi e dei regolamenti e più in generale di tutta l’attività amministrativa, verificando la funzionalità dei sistemi di controllo.
Insomma, con il federalismo le ogni singola Regione si dota di uno strumento di autocontrollo interno che diventerebbe una sorta di esame di maturità o di prova finale al termine del mandato. Un utile strumento di giudizio sia dal punto di vista economico sia da quello delle scelte politiche. Utile pure a chi subentra nel governo della Regione ad avere certezza sui conti evitando così il solito scaricabarile nel passaggio da una gestione all’altra.
Questa norma dovrebbe essere inserita nel decreto attuativo sui cosiddetti «costi standard» che riguarda soprattutto la spesa sanitaria. A questo se ne dovrebbero affiancare altri quattro: sui fabbisogni standard di comuni e province; sulla fiscalità propria dei comuni; sul fisco provinciale e infine quello su Roma Capitale.
Il decreto sui costi standard riguarderà sempre in ambito sanitario anche la ridefinizione dei Lep e dei Lea, ovvero i livelli essenziali delle prestazioni e i livelli essenziali di assistenza, e dunque anche il fabbisogno standard regionale sulla base di una quota capitaria più precisa.
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