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Federer, l’ultimo degli immortali Wimbledon è già in un’altra era

L’erba di Londra ha fatto entrare anche lo svizzero nella leggenda del tennis

Lea Pericoli

Domenica sera i cancelli intitolati ai fratelli Doherty, i due grandi tennisti inglesi che hanno scritto uno dei primi capitoli della storia di Wimbledon, sono stati chiusi dai leggendari guardiani del Tempio. I trecento soci dell’All England potranno giocare sull’erba del loro club soltanto tra 15 giorni. È quanto richiede il capo giardiniere per ripristinare i prati. Tolti i paletti che sostengono le reti, cancellate le righe di gesso, l’erba verrà prima fatta crescere, poi tagliata. Nel “Members Enclosure” si potrà giocare a bridge ma non a tennis. Ci si potrà incontrare all’ora del tè, scambiare opinioni sul torneo che ancora una volta ha coinvolto i media di tutto il mondo, ottenendo record e consensi. Numeri sempre in salita per un successo che, dal lontano 1877, si rinnova. Un solo inspiegabile fenomeno: gli inglesi amano il tennis ma non lo giocano. Wimbledon finanzia la federazione britannica, che è la più ricca della terra, però il paese dagli Anni Trenta non ha un campione. L’ultimo a conquistare il titolo è stato Fred Perry.
Una leggenda racconta che all’imbrunire nelle giornate piovose, nel più vecchio circolo del mondo, i fantasmi tornano a palleggiare sul Centrale. Tutti coloro che hanno prestato l’orecchio giurano di aver sentito il rumore di uno scambio. Suggestione? Nostalgia di altri tempi, di gioventù passate, di trionfi irrealizzati? Può darsi. Il sogno di ogni bambino che vuole diventare un tennista è quello di vincere Wimbledon. Perché significa firmare una pagina di storia, perché tutto si cancella, ma non un successo sul Centrale. Chi vince, riceve in dono l’immortalità. Non a caso i campioni hanno l’onore di diventare membri dell’All England Club. Hanno vinto Wimbledon Tilden, Cochet, Borotra, Lacoste, Budge, Kramer, Patty, Drobny, Hoad, Emerson, Laver, Newcombe, Connors, Borg, McEnroe, Becker, Edberg, Sampras ed ora Federer il Divino. Ma la storia del torneo è anche costellata di protagonisti sfortunati. Mostri sacri che hanno vinto tutto salvo Wimbledon. Negli Anni Trenta il barone Von Cramm perse 3 finali. Due contro Perry, una contro Budge. Poi, con l’accusa infamante di omosessualità, il Führer lo fece imprigionare, negandogli la sua ultima chance. Accadde nel momento in cui il Barone era più in forma. Ken Rosewall perse una prima finale contro Hoad nel 1956, la seconda contro Newcombe nel 1970, la terza contro Connors nel 1974. Negli Anni Settanta anche Ilie Nastase fu sconfitto in due finali: la prima contro Stan Smith, per 7-5 al quinto set, la seconda contro Borg nel 1976. Negli Anni Ottanta Lendl “l’imbattibile" perse due volte in finale: la prima nel 1986 contro Becker, la seconda nel 1987 contro Cash. Quell’anno Lendl, che era numero 1 del mondo, rinunciò a tutti i tornei e ai conseguenti guadagni per prepararsi. Assunse Tony Roche come allenatore. Trascorse settimane a praticare la volée sull’erba inglese, ma la vittoria gli fu negata.
La mia lunga premessa avrà riportato alla mente di tanti appassionati, soprattutto tra quelli meno giovani, le immagini dei loro eroi. Chiunque dei nostri lettori ami il tennis sa perfettamente di cosa parlo. La bellezza del nostro gioco è che vittoria e sconfitta provocano la stessa gioia e lo stesso dolore sia ai poveracci che ai campioni. Il match point perduto, lo sognano la notte sia Linsday Davenport, che per un punto non ha battuto la Williams, che la signora di Busto Arsizio che gioca la Coppa Italia.

Scusate se ho scritto tutto questo solo per celebrare Federer che, ai miei occhi, è qualcosa di più di un immortale.

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