Roma - Secondo me uno che, a letto, calza pantofole di cervo e cachemire può andare lontano. Secondo me uno che a sei anni già portava la cravatta sapeva dove voleva arrivare. Qui si parla di Roberto Mercandalli l’ultimo entrato nell’album delle figurine televisive grazie all’edizione numero 8 del Grande Fratello. In breve trattasi del Cumènda, così appellato dagli amici milanesi, per definirne il ruolo e il portamento, cioè per il suo dire, fare e andare meneghino al cento per cento. Facile oggetto di pernacchie e insulti (pesanti, secondo stile soprattutto di uno dei tre) dei Gialappa’s, comodo personaggio per gli autori e creatori astuti del reality show che cerca di non affondare come altri simili. Abituati ai costantini palestrati e lampadati ma anche a qualche sciatto reduce sessantottino, ecco che rispunta il bauscia dei bei tempi, qualcuno l’ha paragonato al Nicheli Guido ridetto Dogui, per quella mania che aveva di parlare e farsi chiamare con le sillabe lette al contrario, insomma il Zampetti, quello di «sii iù lèter». Qualcun altro ripete che sembra il Berlusconi, meglio forse il Renato Pozzetto primissima maniera o Bramieri nelle caricature classiche. Ma con il bavero sollevato del cappotto e l’accento nasalmeneghino a volte ricorda il Moratti Massimo. Del resto ha detto di essere simpatizzante della Beneamata Inter, dunque se proprio ci deve stare un accostamento eccolo confezionato. L’esordio, l’entrata nella catapecchia detta casa, era stato imbarazzante, comico, buffo e farsesco: i guanti celesti nel taschino di un bel paletot con martingala, il linguaggio da film di Natale, «la location», «il target», «in senso positivo, in senso negativo» «la grammatura della giacca» «il doppiopetto da 6» «una cosa è vestirsi, un’altra coprirsi», roba da vivere di rendita, per le compagnie di Zelig e affini. Ma il Mercandalli stava appunto giocando con la propria figurina, pure suo padre Aldo, una specie di Ugo Pagliai dei Navigli, ci ha messo il carico da undici rivolgendosi in dialetto da cumenda al figlio «ten dùr», risatine, applausi, la Marcuzzi sghignazzante, insomma buoni preparativi per lo spettacolo. Poi Roberto ha incominciato la sua avventura tra sacchi a pelo, brandine, freddo e promiscuità «ho più paura dell’acqua fredda che di uno armato!». Si è trascinato tre valigie, tre, mezzo corredo, repertorio di un paio di armadi, mai abbandonando la martingala con annesso paletot, fazzoletto al taschino, anche sopra il pigiama-kimono, e soprattutto disarmando chi pensava, e ancora pensa, che si tratti del solito figlio di papà senza arte né parte. Perché, per me, uno che, al risveglio mattutino, tra coperte stropicciate, odore di chiuso e affini, a domanda specifica di una collega di avventura. «Ti senti più Lazzaro o Barabba?», risponde: «Mi sento un pirla», ha già dieci giri di vantaggio su tutti gli altri che sono lì dentro con lui e con buona parte di quelli che assistono all’evento (si fa per dire) in tivvù. E il fatto di sentirsi un po’ un pirla, che sarebbe poi la trottola dal verbo pirlare, gli appartiene anche durante le ore di ufficio, di lavoro. Infatti lui stesso ha rivelato che spesso quando incontra clienti - è titolare di una ditta di rifacimento di edifici - oltre al padre si ritrova di fianco Anna, la madre: «Mi capita di assentarmi per un attimo, gli altri continuano a trattare e mia madre domanda :il bambino dov’è? Dov’è finito il mio bambino?». Quando il bambino, di anni ventisei, laureato, rientra, dopo aver sbrigato l’impiccio, gli viene difficile trattare sul prezzo con i clienti che sono un po’ spaesati ma torna a fare il cumenda, dirotta il discorso sui temi di gradimento del compratore «entro nella fase empatica», insomma fa il bauscia (il bavoso, con la bava alla bocca a forza di parlare), avendo imparato l’arte da Aldo, il padre: «A sei anni mi portava a Forte dei Marmi per i suoi affari, materiale per ufficio, con “fabbrichètta”. Mi diceva di vestirmi elegante, poi metteva su, in macchina, la musica di Gloria Gaynor e si andava». Bella vita, pazza vita, perché stando al racconto dello stesso bambino Roberto, lui a sei anni aveva già il libretto d’assegni, ovviamente fac simile, e pure la penna biro con le iniziali R.M., roba che Shirley Temple nemmeno immaginava. Il presepe comportava anche qualche rischio, per esempio un giorno il piscinin per fare il furbo con gli ospiti di casa riuscì a chiudersi una mano nella sdraio, così oggi porta le stimmate, un ditino più piccolo, i guanti se li fa confezionare su misura. Non sparla di nessuno, sorride sempre (per il momento, meglio non sbilanciarsi), accende la sigaretta a tutti, maschi e femmine, usa un italiano in via di estinzione: «Lei mi lusinga», «devo orinare», ma non tradisce lo slang della sua età vera quando parla con il suo amico di avventura Giangi: «Noi due siamo ai vertici!».
Totale: dopo una settimana di GF, Roberto Mercandalli ha già fatto quello che gli altri faranno fatica a ottenere nel resto della
commedia. Quando lascerà la location, in senso negativo o in senso positivo, avrà il suo target ma davanti ai clienti, con la mamma Anna che lo chiama amore mio e bambino, si sentirà ancora un pirla. Cuntént? Sii iù lèter.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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