È proprio arrivato il momento di Mark Rothko. Non solo perché, all'asta di qualche settimana fa, un suo dipinto ha raggiunto la cifra record di settanta milioni di dollari. La pittura di Rothko, in forza della sua essenzialità comunicativa, è cool, mentre il suo personaggio incarna il prototipo dell'artista romantico celebrato dalle masse: votato interamente alla bellezza e segnato da un destino tragico. In questo modo, ma con mille altre sfumature, lo presenta anche «Rosso», il testo di John Logan (ben tradotto da Matteo Colombo) in scena all'Elfo fino al 3 giugno. Al centro dell'azione, tutta svolta nell'atelier del pittore, c'è precisamente lui, Marcus Rothkowitz alias Mark Rothko, l'immigrato di origini russe ed ebraiche che, alla fine degli anni '50, è già così famoso da ricevere un incarico da due milioni di dollari. I suoi addensamenti cromatici, dalla resa allo stesso tempo poetica e spettacolare, dovranno arredare il ristorante Four Seasons del Seagram Building, il grattacielo progettato dall' archistar dell'epoca, Philip Johnson. Alla realizzazione del ciclo di opere lavora un assistente giovane, devoto e molto paziente, interpretato da Alejandro Bruni Ocaña, davvero bravo nel trattenere e dosare le emozioni sino alla catarsi finale. Ferdinando Bruni è un Rothko che talvolta ringhia e più spesso ruggisce, un individuo così pieno di sé da farci intuire il suo vuoto sommerso, la vulnerabilità che lo condurrà al suicidio. Sullo sfondo c'è il crepuscolo dell'espressionismo astratto, la polarità tra vecchie e nuove generazioni artistiche americane, la paura della morte (o del «nero che inghiotta il rosso») che trova sfogo nell'enfasi della pittura, in un rapporto di paternità solo apparentemente mancato, in dotte conversazioni che accentuano il clima epico della situazione. La regia di Francesco Frongia è imperniata sul dominio millimetrico della scena: sulla ricostruzione filologica dell'atelier, sul volume della musica di Mozart, sulla meticolosità dei tagli di luce.
«Rosso» è un buon prodotto teatrale, fortunatamente privo di effetti speciali e permeato di senso della concretezza. D'altra parte l'arte di Rotko praticava l'illusione ma mirava alla realtà e badava al sodo.Teatro Elfo Puccini fino al 3 giugno
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