Bepi Castellaneta
da Bari
Adesso, mentre attende di tornare a scuola e provare a riprendersi la sua vita, i giorni si trascinano tutti uguali nelle quattro mura di un monolocale di Ceglie del Campo, un tempo ex frazione e adesso estrema periferia di Bari, una piazza dove di sera la gente preferisce girare al largo; poco distante, alle porte di Adelfia, dieci minuti di macchina più in là, c'è il casolare della tragedia, quello che fu definito «il tugurio», là dove la sua bambina fu fulminata da un attacco di broncopolmonite: lei 17 anni, la ragazza finita in carcere con l'accusa di aver ucciso Valentina, la figlia di cinque mesi e poi scagionata dopo l'esito dall'autopsia, quasi non esce più di casa, ha lasciato il compagno ed è tornata a vivere con i genitori, madre casalinga e padre muratore che si arrangia con qualche lavoro saltuario. E tutti insieme aspettano notizie da Palazzo di giustizia dopo la decisione di rivolgersi a un avvocato per cancellare l'ombra di un sospetto che su giornali e televisioni era diventato un'allucinante certezza. «Quando i genitori sono venuti da me erano distrutti e mi hanno chiesto: che cosa possiamo fare?», racconta il legale, Nicola Zanni, che ha presentato due denunce: una contro nove tra agenti e funzionari di polizia per l'interrogatorio avvenuto in questura e l'altra nei confronti del capo della squadra mobile, Luigi Liguori per le dichiarazioni rilasciate dopo il fermo della ragazza. Ma proprio l'avvocato di Liguori, Michele Laforgia, precisa: «Ci tuteleremo in tutte le sedi competenti, il mio assistito non ha fatto altro che il suo dovere». Insomma, il caso è tutt'altro che chiuso. E la vicenda giudiziaria è ancora aperta anche per la diciassettenne, tuttora indagata per abbandono di minorenne aggravata dalla morte, che oggi dovrà presentarsi dinanzi al gip per un incidente probatorio.
Incombe ancora il ricordo di quella tragedia: la fine drammatica di una bambina di 5 mesi e la storia di un delitto che non c'è mai stato, anche se c'è voluta l'autopsia per spazzare via i sospetti che si sono accavallati nel giro di poche ore, quando la ragazza è stata sottoposta a fermo con l'accusa di aver provocato la morte della figlia scuotendola in modo troppo energico. Era la sera del 15 marzo: la bimba piangeva, ha cominciato a sentirsi male e a perdere sangue; poco dopo è arrivato il padre, un uomo di 37 anni, muratore, che si è accorto della gravità della situazione. È scattata la corsa all'ospedale Giovanni XXIII, ma ormai non c'era più niente da fare. Subito dopo sono scattate le indagini, la ragazza è stata interrogata a lungo dalla squadra mobile, ha detto che sì, a volte la cullava con energia, ore scandite da domande e mezze risposte fino alla conclusione: la madre è stata fermata con l'accusa di aver ucciso la figlia scuotendola per farla addormentare, quello che i medici chiamano «baby shake». Poi le dichiarazioni ufficiali, rimbalzate su giornali e televisioni, i racconti sul casolare dove abitava quella famiglia disagiata, una casa descritta come una catapecchia senza luce né acqua anche se dinanzi all'ingresso c'erano le tutine della bimba, lavate e stese ad asciugare con cura. Proprio a proposito della casa di Ceglie del Campo, l'avvocato Zanni precisa che «è vero, ci sono i generatori e manca l'acqua come in molte case di campagna, ma ogni giorno i genitori facevano provvista».
Nel giro di poco le accuse si sono rivelate infondate: la piccina era morta per una broncopolmonite emorragica fulminante. La diciassettenne è stata scarcerata, il sindaco di Bari, l'ex magistrato Michele Emiliano ha annunciato che l'amministrazione comunale si sarebbe accollata le spese legali. Ma alla fine il Comune ha fatto retromarcia. Motivo: la famiglia ha annunciato azioni legali anche nei confronti dell'assessore ai servizi sociali, Susi Mazzei.
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