Il Ferraris è un po’ l’anima della città

Non toccate il Ferraris! Questo è il grido che una città intera - alla fine anche l'altra mezza città si è risvegliata - sta facendo tuonare. Sono - siamo, permettetemi un po' di faziosità - partiti prima i Genoani, opponendosi «vivacemente», già nel 2003, alla proposta del presidente Garrone di costruire uno stadio a Trasta, un impianto ipertecnologico, iperfunzionale, iper…mercato magari.
Sì, ma dov'è Trasta? Ve lo immaginate il compianto Paolo Valenti annunciare «ed ora la linea a Bubba da Trasta»! Che è? Un cartone animato? Un animaletto peloso? Il Ferraris, fin dal nome, connota una città, una intera città.
I più toccheranno ferro a ricordare la maledizione della vecchina di villa Piantelli lanciata perché le usurpavano la terra dove aveva piantato i pomodori, ma la storia nasce da lì, da quel terreno regalato da un nobiluomo, che forse ancora si aggira nella sua casa, certamente di domenica, anzi - accidenti! - di sabato, per unirsi ai Marassini per vedere il suo Genoa. E per forza che è inquieto! Lo lasciò vincente, temuto, rispettato, ed ora?
A Genova proprio il Genoa ed il suo popolo deve lottare per affermare che cosa? La propria esistenza? Beh, magari il nobile è confortato dal fatto che lo ritrova ancora, anche adesso dopo 113 anni, in un terzo anello sempre più affollato.
Poco importa, per chi amministra, che lo stadio fosse perpendicolare al Bisagno e poi parallelo, che la Caienna fosse il campo dei cugini, abbattuta per far spazio alla nord, occupata dai Genoani non a seguito di una disfida, di un torneo medievale, di scontri tra Orazi e Curiazi (già in quegli anni, ad onor del vero, non si faticava a trovare i tifosi dell'Andrea Doria…), ma semplicemente perché i Genoani c'erano già, erano già lì, il Genoa c'era e i suoi tifosi andavano ad occupare la prima gradinata costruita, non per diritto divino ma semplicemente perché erano i primogeniti. Mi capirà chi ha fratelli, o sorelle, maggiori: seppure a malincuore la stanza più grande, o il posto a tavola di fronte alla tv capita sempre a loro, non è vero?
Non è un caso che poi lo stadio di Marassi venisse intitolato a Luigi Ferraris proprio nel 40ennale della fondazione del Genoa.
Lo ricordate il vecchio Ferraris? Il campo a schiena d'asino, così ricurvo che dai distinti era impossibile vedere la linea del campo sotto la tribuna, con quelle gradinate immense, senza fine. Quando certi eccessi di prudenza non esistevano anche la capienza era un optional, i 55mila sulla carta diventavano più di 60mila se la partita meritava.
Per motivi anagrafici non posso ricordare Abbadie o Verdeal, ma ho stampato nella memoria quella incornata di Pruzzo in un derby memorabile, o una magia di Zico in un epoca in cui gli stranieri erano ancora miraggi e vederli dal vivo diventava un evento.
Arriva il nuovo e con mezzo Ferraris arriva un mezzo siciliano, piccolo, ma tutto nervi e potenza lirica. Un Professore che ci ridiede linfa, e ci chiamò, per primo, come si merita chi arriva primo. Così fummo popolo ed in quello stadio all'inglese si è scritta la storia recente.
Non so cosa accadeva dall'altra parte, ma in quello stadio non c'era solo il Genoa. C'era l'altra metà - ehm, per chi fa politica la diplomazia è tutto… - di Genova, che cresceva e si affermava: da Cucchiaroni a Lippi, fino all'era Mantovani.Oltre un secolo di storia cittadina è passata da lì, per le strade di Marassi. Corso de Stefanis ha visto carrozze, le prime balilla, fiumi di 600 portare tifosi, fino ai pullman, ai fuoristrada. Di fuoriserie poche, se non quelle dei giocatori. Perché questa città non mostra i lussi, se li gode ma non li mette in piazza.

È il suo carattere, è il suo modo di essere e di vivere le cose. Cose, «roba» che la città non butta, ma conserva e arricchisce.
Andare via da Marassi sarebbe ammettere che questa città non esiste più.
Consigliere comunale An

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