da Roma
«È qui la festa?». Yes. Al numero civico 1055 di via Tuscolana, dove c'è lo storico ingresso di Cinecittà. Venerdì si presenteranno in tanti, circa un migliaio, tra attori, registi, vip e compagnia cantante, per festeggiare i 70 anni (28 aprile 1937) della cosiddetta fabbrica dei sogni. Una manna per il Cafonal di Dagospia. Tappeto rosso, scollature e smoking, cena a inviti sotto la tensostruttura eretta apposta nel cuore delle scenografie costruite per le due serie tv Rome, tra il Senato e la Suburra, qualche immagine celebrativa e poi tutti a ballare fino a notte fonda col disc-jockey: che non sarà Boy George, come in un primo momento s'era pensato, e neanche Jovanotti, già assicurato per la prossima Festa veltroniana. Costo dello scherzetto? «Abbondantemente sopra i 500mila euro», rivela chi sa. Iniziativa fortemente caldeggiata dall'amministratore delegato di Cinecittà, Francesco Carducci, ma non dal presidente Alessandro Battisti, che avrebbe desiderato - dicono - una celebrazione più sobria, culturalmente qualificata, pure meno dispendiosa.
Magari si potevano coinvolgere cineasti di ieri e di oggi, chiedere a un regista come Ettore Scola, che in quegli studi tanti film ha girato, di girare un documentario di taglio personale, se possibile senza scivolate nostalgico-felliniane, pensare a una rassegna di film divisi per decadi, qualsiasi altra cosa... Invece no: i nuovi vertici di Cinecittà Holding, accuratamente in quota Margherita essendo stati selezionati con cura dal ministro Rutelli alla faccia di Ds, Verdi e Rifondazione, hanno voluto il galà con le luci dei Pink Floyd, l'evento mondano affidato alla società Filmaster, la stessa delle Olimpiadi sulla neve. Costi lievitati, dunque, e vai a sapere di quanto rispetto ai 500 mila di cui sopra.
Intendiamoci, nessuno nega che i settant'anni andassero festeggiati in modo adeguato. Ma non così. O solo così. Risultato: anche all'interno del ministero c'è ora chi nutre dubbi sul «Cinecittà Day». Non fosse altro per le assenze. Volevano Coppola, Scorsese, Annaud, Stallone, dovranno accontentarsi di Eva Mendes, che di sicuro è una bella figliola ma non proprio la stessa cosa, di Wim Wenders, ormai di casa da noi e forse di Matt Dillon. Pure Virna Lisi, contattata per il ruolo di «madrina», avrebbe dato forfait.
In compenso, il 3 mattina Rutelli - citiamo dall'invito recapitato ai giornalisti - «visiterà gli Studios di Cinecittà per salutare maestranze e tecnici e cogliere in presa diretta l'atmosfera dei set in attività». Il problema sta altrove: a Cinecittà, nell'immediato, non si girano film. Tv tanta, da Distretto di polizia a Il medico in famiglia passando per Il Grande Fratello e il ritorno di Funari; cinema poco: negli ultimi mesi solo Go-Go Tales di Abel Ferrara e Saturno contro di Ozpetek.
Però, giovedì prossimo, sotto l'intestazione «Cinecittà. 70 anni rivolti al futuro», Rutelli, e con lui il presidente Battisti, il ministro Gentiloni, il sottosegretario Montecchi, il presidente dell'Istituto Luce, Passigli, di Filmitalia, Bignardi, e di Cinecittà Studios, Abete, ci spiegheranno come il marchio degli Studi sulla Tuscolana resista scolpito nel tempo: emblema della creatività italiana, con i suoi 22 teatri di posa, i 280 camerini, le 21 sale trucco, la piscina, i laboratori tecnici di montaggio, doppiaggio e post-produzione, le officine artigianali, eccetera.
Chissà se si parlerà anche di soldi. La legge-cinema che sta mettendo a punto Rutelli, non senza qualche ruggine con gli alleati, ridisegnerà (ridimensionerà?) il ruolo di Cinecittà Holding; ma intanto l'amministratore delegato ha chiesto al ministro di portare il budget annuale da 23 a 26 milioni di euro.
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