Politica

Festa paesana del re dei disturbatori

nostro inviato

a Torgiano (Perugia)
Immaginate un generale dell’esercito. Un generale in pensione, roba tosta, uno che a domanda non risponde ma ordina, comanda, impartisce, con tono gassmaniano: «Non parlo di questo argomento, non rilascio informazioni su questa vicenda», secco, drastico, feroce. Immaginate dunque il generale che per ventimila volte vede il proprio figlio apparire in televisione, a fianco, dietro, davanti a madre Teresa di Calcutta, il papa, Berlusconi, Bush, Pippo Baudo. Dovrebbe godere come un matto e urlare il rompete le righe. Negativo.
Gaetano Paolini è il generale e il figlio si chiama Gabriele, sapete bene di chi si tratta, lo sa appunto il generale, lo sa Bice, madre piemontese, ex cantante lirica, lo sanno le tre sorelle, Silvia, Marinella, Rossella, lo sanno milioni di teleutenti italiani, lo sanno i direttori e presentatori dei Tiggì pubblici e privati. Ma poiché in questo Paese non ci facciamo mancare proprio niente ecco che a Torgiano, dove l’Umbria è dolcissima, dove ulivi e vigneti offrono fughe verso il paradiso, proprio in queste curve dietro Perugia, alla vigilia della festa di San Bartolomeo, tra riti sacri e sagre di porchetta, hanno deciso di allestire la grande festa per il più grande rompicoglioni via etere, il virus mediatico unico al mondo secondo autorevoli definizioni, il più petulante e indisciplinato presenzialista dei canali televisivi, il più querelato e insultato, il più insultante e querelante, addirittura una presentata contro suo padre per ingiurie, due alle sorelle, insomma Gabriele Paolini, sì, quello che ha più presenze di Costacurta, Andreotti e Gigi Marzullo al quale ultimo assomiglia per via dell’ondame ai capelli («io vado dal barbiere una volta all’anno, è un evento, un affare per lui, mi paga, vendo le ciocche a cento euro, dicono che sono pazzo, io, e chi le compra allora?»).
Paolini Gabriele a Torgiano, in discoteca all’aperto, in mezzo a tremila curiosi, gente di ogni tipo, bambini, femmine, palestrati, i soliti pensionati che rompono più del Gabriele ma che gli stringono la mano. Ventimila apparizioni, in senso buono, facendo avvampare e lacrimare Fede e Mentana, mandando in bestia il fu Frajese che lo prese a calci lungo un boulevard parigino, blob storico. Gabriele Paolini se lo conosci non lo eviti. Avrebbe bisogno, dico la sua esistenza, dei sottotitoli per spiegare che oltre la faccia c’è una testa, c’è un ronzio continuo, di pensieri e parole, a volte eccessive queste ultime ma mai vuote: «La mia vita è cambiata quando fui violentato da un prete a quindici anni».
Dice ciò vestendo un grembiule da cucina, plastica e colori, calza sandali, è alto un tot, non prende sonno da quaranta ore, chiede un cappuccino, beve acqua naturale, mordicchia un tramezzino, esibisce fotografie hard e un video dello stesso contenuto che lo vede regista e interprete. Un modo per incassare denari, poi le ospitate, poi altro: «Ho la licenza di terza media, ho frequentato il classico, due anni di ginnasio poi al primo di liceo mi hanno bocciato ma querelai l’insegnante che mi aveva definito piccolo e brutto». Querela, un sostantivo che riappare ventimila volte come il Gabriele medesimo che non è né piccolo, né brutto: «1.253 querele ricevute, 1.347 da me presentate. E ne ho vinta una colossale contro Mediaset. Lo scriva, ho due uffici legali, La Marca e Corn Muller, mi hanno cambiato la vita».
La vita. Ne parla, Gabriele Paolini, sfogliando nervosamente la memoria, ritornando a quella violenza e al rapporto difficile, impossibile con «la famiglia», con il generale Gaetano: «Soffro ma loro hanno mai capito la mia vera sofferenza? Mi sono dissociato, sono un sans papier, ecco qua». Tira fuori da uno zainetto il portafogli, la carta di identità plastificata riporta la foto con l’espressione beffarda e alla voce indirizzo ci sta scritto «via Modesta Valenti 5», lui spiega: «È il sito dei senza fissa dimora. Un barbone mi ha insegnato molte più cose di tanti altri. Così come Fellini, l’ho conosciuto e lui scrisse di me come di un giovane istrione che saltellava in via Margutta. Con lui parlavo, su di lui scrissi un libro, Attalo e Fellini al Marc’Aurelio. Fu nel 1997, era gennaio, quando capii che era il momento di sbucare nel video. Ma chiedetevi come faccio a sapere dove e a che ora c’è la diretta del Tiggì. La risposta? Ho tanti amici tra i giornalisti, gli operatori, me li sono portati a letto, anche tra le forze dell’ordine. Per questo nessuno mi tocca, per questo vinco le cause, per questo ho rifiutato l’offerta di Ricci di presentare Striscia che si scatena con Wanna Marchi ma non fa lo stesso con altro, per questo Aldo Grasso oggi mi tratta bene dopo avermi dato dello sciacallo, per questo denuncio e querelo ottenendo vittorie e con queste vivo ma non soltanto con queste».
Va via sciolto, ogni tanto la voce, forte, sicura, improvvisamente trema: «Sono stanco, non sto bene, penso ai miei genitori, non vorrei che morissero di crepacuore per questo figlio depravato. Ma io penso agli altri, mi comporto così per gli altri. Qualche sua collega mi ha chiesto se sono felice. Domanda idiota. La vita è sogno, la morte è risveglio. Due miei cari amici, Mario Ricciardelli e Maurizio Renzoni Morgetano, si sono suicidati, io vivo per loro, a loro dedico una fetta della mia esistenza. Vede: domani querelerò le Ferrovie dello Stato perché ho viaggiato su un vagone dove i finestrini erano chiusi ermeticamente e non c’era l’aria condizionata. Vede: da cinque anni non pago il biglietto del treno, chiedo al controllore se c’è un agente della polfer a bordo, puntualmente mi rispondono di no, dunque manca la sicurezza e io non pago. Venite a vedere la festa ma non guardate me, guardate quelli che vengono per me».
Ha ragione, Gabriele figlio di Gaetano e di Bice. Ha ragione ma quel grembiule, l’ondame ossigenato, distraggono gli astanti dalla realtà. Quando a sera tarda Torgiano prepara ceri e drappi per il rito di San Bartolomeo, dietro il campo di pallone Gabriele l’inquinatore fa il suo show, balla, parla, si spoglia, non ignudo del tutto, coprendosi con la fotografia del papa. La gente ride, applaude, fischia. La gente, gli altri, mentre Gabriele Paolini sembra più solo.

Sipario.
Tony Damascelli

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