Parma - «È per gli interisti, solo per gli interisti». Sotto il diluvio del Tardini, mentre cento microfoni tentano di rubargli un commento, Roberto Mancini si lascia sfuggire solo questa frase che vale cento righe perché qualche fila di poltroncine più su, il presidente Moratti ha espresso il medesimo concetto: «Soli contro tutti». E quindi lo scudetto è dedicato solo a chi è stato vicino alla squadra, solo agli interisti. È unità di intenti, non è telecinesi, alla faccia di chi vuole presidente e allenatore solo e soltanto contro. Spiacenti, avrebbero potuto dire, non siete riusciti a farci perdere lo scudetto. Ma non l’hanno detto. Poi magari domani si lasciano, per Moratti ha detto: «Dobbiamo parlarne in privato, senza che ci senta nessuno». O lo faranno dopo una sola giornata del prossimo campionato, o magari fra dieci stagioni. Tanto ci sarà sempre qualcuno pronto a dire: hai visto che Moratti lo ha silurato? Lo dicevo io!
Al Mancio quest’anno gliene hanno tirate tante, lui ha sempre tentato di mantenere un suo profilo, era stanco, ha finito stanchissimo, prima era preso in mezzo dalle assurdità delle celebrazioni e poi dalla festa scudetto, solo distrazioni aveva commentato, e quasi per evitare una risposta banale aveva aggiunto: «Magari vincere uno scudetto in volata ci darebbe un’emozione più forte». Accontentato ieri al Tardini, quando a un quarto d’ora dalla fine era dietro alla Roma. Se Ibra è il simbolo dei campioni, questo scudetto è proprio di Mancini, l’allenatore più precario d’Italia. Ieri ha superato il Mago Helenio Herrera che mai aveva vinto tre scudetti consecutivamente, ce n’è uno di carta, è vero, ma in panchina comunque c’era il Mancio che magari adesso decide di andarsene per davvero. Non deve essere facile per un permaloso come lui ripulirsi di tutto quanto gli hanno scaraventato addosso. Adesso però ha vinto, e potrebbe essere arrivato il giorno dove sistema i sospesi. Hanno scritto romanzi sui suoi rivali all’interno dell’Inter, ma l’aria all’improvviso è cambiata e ieri anche l’Amministratore delegato Ernesto Paolillo ha dovuto inchinarsi: «E ora speriamo che il nostro allenatore rimanga», ha detto a fine gara. Magari adesso se lo fa amico, sempre che prima non lo fossero, e sempre che il presidente decida di mantenere il medesimo amministratore delegato anche per la prossima stagione.
Ma ora sono i suoi nemici a tremare, perché giusta o sbagliata che sia la sua conferma, Gabriele Oriali qualcosa si è lasciato sfuggire nella bolgia che ha seguito il fischio finale di Rocchi a Parma: «Mancini resterà al centouno per cento. Ve lo posso garantire». E che sia normale che resti lo ha ribadito anche Marco Tronchetti Provera ieri in tribuna al fianco del presidente.
Ora forse anche quelli che gli hanno tirato un vaffa, gli hanno rifiutato un cinque dopo una sostituzione, o gli hanno fatto sapere a mezzo stampa che non è lui a decidere il loro futuro, è bene che si diano una regolata, perché il presidente può cambiare idea dall’oggi al domani, ma spedire oltre confine un allenatore che in quattro anni porta a casa tre scudetti, due coppa Italia, due Supercoppe italiane e fra cinque giorni gioca un’altra finale all’Olimpico, resta una decisione un po’ troppo bizzarra. Proprio nel giorno in cui si è rivisto il gruppo vincente. Una su tutte la gara di Vieira, uno fra i più contestati. L’Inter spingeva ma non si vedeva un leader che ci mettesse la faccia. Il francese all’improvviso lo ha fatto: «Datemi il pallone!», si è messo a urlare sotto la pioggia e si è fatto carico di ogni magagna: «Sì, è vero, dopo un’ora stava subentrando la paura - ha confessato il francese -.
Ma poi abbiamo messo le cose a posto e abbiamo dimostrato che questo è un gruppo capace di rimanere in testa anche dopo questa difficilissima settimana. E questo è lo scudetto più bello». Mandare via il Mancio sarebbe proprio bizzarro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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