Il Festival del cinema celebra il Marocco ma snobba l’ambasciatrice

Altro che «red carpet», qui a diventare rosse sono, almeno dovrebbero essere, le facce dei vertici del «Festival del Film» di Roma. Perché la figuraccia rimediata proprio il giorno di apertura della kermesse è di quelle difficili da dimenticare. E certo non se la dimenticherà Luciano Sovena, amministratore delegato di «Cinecittà Luce», la società pubblica produttrice del documentario «Sound of Marocco», proiettato fuori concorso proprio quel maledetto giorno di inaugurazione; un documentario accolto così male dall’organizzazione dell’evento da spingere Sovena a scrivere una lettera di protesta, in cui elenca al presidente della «Fondazione Cinema per Roma» Gian Luigi Rondi, al direttore generale Francesca Via e al direttore artistico del Festival Piera Detassis tutte le magagne in questione. A cominciare dall’accoglienza riservata - anzi non riservata - all’ambasciatrice del Marocco e ai dirigenti della regione Lazio che accompagnavano la rappresentante di Rabat: all’entrata in sala non c’era nessuno a ricevere i diplomatici, che, imbarazzati, non hanno potuto fare altro che sedersi da qualche parte e aspettare, ignorati da tutti, l’inizio della proiezione.
E qui i contrattempi «umilianti» - così li definisce Sovena - sono proseguiti. Il documentario - così come è spiegato fin dal titolo «Sound of Marocco» - racconta la produzione musicale del regno nordafricano. Peccato che il sonoro per la prima parte della proiezione fosse assente; e a nulla sono valse le proteste del cast e della regista della pellicola: gli operatori di sala si sono rifiutati di interrompere la proiezione.


«Non soffro di manie di persecuzione - scrive Sovena - ma per noi che facciamo un cinema non solo di lustrini e paillettes, il tutto ci ha procurato dolore e ci è dispiaciuto moltissimo l’aver lavorato per un mese all’evento e vederlo poi dissolversi in un attimo, per la mancanza di attenzione da parte degli operatori del Festival».

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