Fiat, auto in caduta libera ma per la Borsa non conta

Le vendite di automobili in picchiata nei pricipali mercati europei? Il peso dell’industria automobilistica nell’economia italiana in bilico continuo? L’alone di mistero che Sergio Marchionne vuole mantenere circa l’investimento di 20 miliardi nelle fabbriche del Paese? A tutte queste domande, analizzando l’esito delle contrattazioni in Borsa nel secondo giorno delle due Fiat nel listino, gli investitori hanno dato un’unica e chiara risposta: «Non ce ne importa, noi adesso compriamo soprattutto le azioni di Fiat Spa, quelle dell’auto». E così, anche ieri, Fiat Spa ha chiuso in grande spolvero (+6,4% a 7,47 euro), mentre il titolo Fiat Industrial (camion e trattori) è andato sotto (-2,2% a 8,80 euto).
«Ma come? - direbbero in molti - le immatricolazioni di automobili sono in caduta libera, mettendo così a rischio i piani del gruppo, e la Borsa guarda altrove. Possibile?».
Marchionne, dopo aver diviso la sinistra, eliminato quasi del tutto la Fiom dalle rappresentanze sindacali all’interno degli stabilimenti, lasciato di stucco e con una certa apprensione - decidendo per lo «strappo» - Confindustria e Federmeccanica, comprato la Chrysler a dollari zero, sarà anche capace di dettare nuove regole del gioco in Piazza Affari?
Per rispondere a questa domanda è opportuno fare alcune considerazioni: l’amministratore delegato di Fiat e Chrysler, nonché presidente di Fiat Industrial e consigliere della holding controllante Exor, è strapagato dagli azionisti (oltre allo stipendio percepito nel 2009 di 4,78 milioni, di cui 1,35 come bonus, ha in cassaforte stock option per quasi 130 milioni) affinché riesca a garantire loro le remunerazioni che si aspettanoo, ovviamente elevate. E questo vale sia per la numerosa famiglia Agnelli, sia per gli investitori che hanno deciso di scommettere, mettendo sul tavolo i propri risparmi, sulle nuove opportunità create dal top manager che vive più ore in aereo che sulla terra ferma. Che importa, allora, se in Italia, nel 2010, la Fiat ha venduto 118.423 automobili in meno rispetto al 2009. E che importa se i riscontri dall’Europa sono pessimi: in Germania, secondo i dati anticipati ieri dall’associazione Vdik, le immatricolazioni di vetture torinesi sono precipitate lo scorso anno, senza il sostegno degli incentivi, del 50,8%. Lo stesso vale per il mercato francese, anche se in questo caso la caduta del gruppo tricolore, non è stata così rovinosa come a Berlino e dintorni: meno 9,9%.
Gli investitori, seguendo uno dei dettami che Marchionne ha ribadito proprio nel giorno dello spin-off («basta con il provincialismo...»), hanno cominciato a guardare oltre i confini nazionali e soprattutto oltre l’Atlantico, galvanizzata anche dagli effetti positivi della cura Marchionne su Chrysler: +17% le vendite nel 2010. Il mercato, insomma, ora che lo scorporo è in vigore, è sempre più convinto che la divisione in due del gruppo Fiat rappresenti solamente il primo passo verso un’operazione di più ampio respiro che coinvolgerà l’americana Chrysler. Lo snodo, a questo proposito, è la quotazione a Wall Street della casa costruttrice di Auburn Hills che Marchionne ritiene possa avvenire nella seconda metà dell’anno. Lo sbarco nel listino di New York, inoltre, è la conditio sine qua non il Lingotto acceleri la salita al 51% della stessa Chrysler. E c’è fiducia, da parte degli investitori, che il numero uno di Fiat e Chrysler rispetti, il prossimo anno, le scadenze finanziarie con la Casa Bianca. In pratica, restituisca il prestito ottenuto.
Poco importa, dunque, guardando il titolo Fiat Spa, che in Italia il gruppo di Torino vada in questo momento male (-16,7% le vendite nel 2010) e che il primo trimestre dell’anno nuovo, secondo gli esperti, sia visto ancora in salita. A compensare queste perdite, infatti, saranno i Paesi le cui economie sono in costante crescita. E in questo contesto è il Brasile a svettare. Qui la Fiat ha confermato per la nona volta la sua leadership, con una produzione complessiva nel 2010 di 760.495 tra auto e furgoni, un nuovo record nella storia del marchio nel Paese. La novità «Novo Uno», inoltre, nelle concessionarie da maggio, è diventata in poco tempo il secondo modello più venduto in Brasile. A tutto questo si aggiunge la speranza che la situazione europea migliori dopo essersi disintossicata, si spera presto, dalla overdose di incentivi.
Gli investitori devono però considerare alcune variabili. Una, rilevata ieri dal Financial Times, non è comunque nuova: la Fiat si è divisa in due società che, però, contano sempre su un singolo uomo, ormai plenipotenziario dell’impero industriale di casa Agnelli. Che cosa succederà, poi, quando finirà il periodo (2015) durante il quale il sindacato americano dei metalmeccanici si è accordato con la proprietà di non scioperare? Bob King, il capo dell’Uaw, vuole portare il sindacato anche nelle fabbriche americane (vedi Bmw e i giapponesi) dove le contrattazioni avvengono internamente. Insomma, intende ridare smalto a un’Uaw che ha dovuto abbassare la testa pur di non lasciare a spasso le tute blu americane durante la crisi.


Una volta tornate in auge le Big Three e finite le tregue pattuite tutto resterà come adesso? Marchionne si abbraccerà ancora con i capi dell’Uaw? Anche in Italia, fino a poco tempo, il responsabile del Lingotto era quasi venerato dalla sinistra. Ora invece...

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