La Fiat fa i conti con il «tormentone» Italia

La Fiat fa i conti con il «tormentone» Italia

Il giallo della Fiat via dall’Italia è stato chiarito, o quasi. Che Sergio Marchionne sia tentato a trasferire le produzioni in Paesi più convenienti e flessibili nessuno lo può negare, ma non può farlo. Succederebbe la rivoluzione. L’altra sera, da Washington, nell’intervista a Radio24 è affiorato il suo nervosismo per le tensioni continue alimentate dalla Fiom. Nervosismo che, probabilmente, ha contagiato chi ha trascritto il contenuto dell’intervista. Marchionne, comunque, non ha detto che è pronto a sbaraccare, ma ha fatto capire dalle sue affermazioni che la corda è tesa al massimo a causa di una Fiom sempre più arroccata sulla propria intransigenza. Del resto, l’amministratore delegato di Fiat e Chrysler, nominato ieri per la seconda volta al vertice dell’Acea (la lobby Ue dell’auto), non avrebbe alcun interesse a innalzare la temperatura a pochi giorni dal lancio della nuova Panda a Pomigliano. L’evento, al di là della presentazione di un modello fondamentale per Fiat, rappresenta il primo atto concreto del piano Fabbrica Italia. Lo stabilimento campano, sul quale il Lingotto ha investito oltre 700 milioni, sarà il primo banco di prova della nuova strategia industriale. A Pomigliano si è svolto il primo dei tre referendum che, nonostante la dura opposizione della Fiom, hanno acceso il semaforo verde al piano Marchionne. È dunque delicatissimo il ruolo di questo impianto e dei suoi operai: da come andranno le cose e dal modo con cui chi ci lavora riuscirà a non farsi condizionare dal sindacato «anti-Sergio», dipenderà veramente il futuro del gruppo in Italia, il Paese in cui affonda le radici. Marchionne, intanto, questa volta da Bruxelles, ha voluto allentare la tensione, spiegando che «è importante produrre auto in Italia». «Noi - ha assicurato il top manager - continuiamo ad andare avanti per modernizzare il sistema industriale, cercando sempre il consenso dei lavoratori che finora ci è mancato. È completamente impensabile che Fiat non sia interessata a 80mila lavoratori italiani. L’Italia è il Paese in cui è stata fondata 112 anni fa e ci sta a cuore». «L’industria è in crisi - ha aggiunto - il mercato automobilistico europeo è in stagnazione, per l’Italia avevamo previsto un 2011 difficile, lo sarà anche il 2012. Ma la sopravvivenza finanziaria di Fiat non è in dubbio, neanche in caso di una calamità assoluta che avrebbe effetti disastrosi su aziende che sono completamente italiane. Fortunatamente abbiamo creato una realtà industriale fuori». Frasi misurate, dettate dalla consapevolezza che una virgola fuori posto o un’interpretazione sbagliata non farebbero altro che tornare comodo a chi, sin dall’inizio, non crede a una parola di Marchionne ed è intenzionato a dare battaglia fino in fondo. Maurizio Landini, capo della Fiom, è il portabandiera di chi la pensa così: «Il messaggio al governo di Marchionne è chiaro: non vuole condizionamenti da parte di nessuno. Non vuole rispondere a nessuno di quello che fa. In questo Paese le libertà sindacali sono un diritto costituzionale che non può essere lasciato nelle mani di Marchionne». L’amministratore delegato del Lingotto dovrà però rassegnarsi. Sembra essere condannato a dover confrontarsi duramente a ancora a lungo con Landini & C., a meno che una possibile resa dei conti all’interno della sinistra sindacale sposi una linea diversa.


E se Landini continuerà a essere un incubo per Marchionne, Chrysler, viste le nubi che si addensano sul mercato dell’auto, promette di dare ancora soddisfazioni al gruppo: la casa Usa, grazie alle vendite in America (+45% a novembre) è il toccasana per i conti dell’Auto. Anche Chrysler e Fiat sono condannate a viaggiare insieme. Ma è un’altra storia.

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