Far passare in cattiva luce la Fiat e i suoi vertici,enfatizzando solo i dettagli capacidi far sorgere dubbi e sospetti nell’opinione pubblica, e tralasciando (o marginalizzando), invece, quanto di buono il Lingotto ha fatto dal 2004 a oggi. Sulla lavagna di Milena Gabanelli, conduttrice di Report , dedicato al gruppo torinese, c’era posto solo per i cattivi. La puntata dell’altra sera, che ha tratto spunto da interviste di inizio anno (Salone di Detroit) e primi di marzo (Salone di Ginevra), quindi non freschissime alla luce di quello che intanto è accaduto (la 500 che circola in questi giorni per le strade americane), aveva un solo scopo: incastrare Sergio Marchionne, cercando di farlo passare per evasore fiscale; ridicolizzare John Elkann con un colpo basso (il nipote dell’Avvocato, intervistato dal Tg2 a Detroit, aveva chiesto di tagliare una sua risposta per evitare fraintendimenti: le riprese sono invece continuate e trasmesse); e riaccendere una pericolosa miccia tra gli operai del gruppo automobilistico. Ecco allora la Gabanelli e la sua truppa d’assalto fare da apripista, a Fiom e Cobas (ai quali la trasmissione ha messo irresponsabilmente su un piatto d’argento la cartina delle abitazioni svizzere di Marchionne), in vista delle nuove battaglie che attendono la Fiat dopo i referendum di Pomigliano e Mirafiori. Si è cercato di fare le pulci su tutto e, per dare ancora più forza alle tesi accusatorie, la giornalista ha estratto dal cilindro Mauro Coppini, ex direttore di Quattroruote ( incarico lasciato undici anni fa), nonché ex capo ufficio stampa di Alfa Romeo, già di proprietà Fiat, e uomo molto vicino a Vittorio Ghidella, il papà della Uno scomparso in Svizzera nelle scorse settimane, costretto a lasciare Torino per i dissapori con l’allora presidente Cesare Romiti. Coppini, uscito polemicamente dalla casa editrice Domus dopo una copertina che sollecitava la Fiat a richiamare una serie di modelli per un problema al cambio, agli occhi di Report poteva essere l’uomo giusto per sparare contro il Lingotto, giocando su eventuali rancori non ancora sopiti. Coppini, oggi opinionista tv, tirato in ballo sul discutibile abbinamento Lancia-Chrysler, ha risposto esponendo i dubbi che una simile operazione, figlia dell’emergenza, sta generando. Lo stesso Marchionne ha più volte spiegato che il 2011 «sarà una sorta di traversata nel deserto» e che i nuovi prodotti cominceranno ad arrivare dal 2012. Qualcosa, però,bisognava inventarsi considerando l’iperattivismo della concorrenza: da qui l’idea di«vendere»la non giovanissima Chrysler 300C come Lancia Thema in Europa. Una bella scommessa. Coppini ha esposto quello che un po’ tutti pensano, mancando però sul prezzo:in America la 300C non è a «saldo» (20mila dollari), ma il prezzo reale è compreso tra 28mila e 45mila dollari. In Europa, quando arriverà a novembre, potrebbe essere offerta tra 35 e 40mila euro (e forse più), tenuto contoche oltre l’Atlantico le macchine sono meno care in valore assoluto.
E poi la tiritera degli incentivi (è vero che Torino ne ha beneficiato, come del resto gli altri costruttori esteri, gli stessi- a differenza della Fiat- che continuano a chiederne la reintroduzione) e della cassa integrazione (senza ricordare l’impegno di Marchionne, se la ruota girerà per il verso giusto, di adeguare i salari delle tute blu italiane a quelle tedesche). E ancora il convertendo, come se i 2 miliardi di dollari strappati alla Gm, con la quale Torino ha prodotto motori in joint venture fino a poco tempo fa, fossero noccioline. Proseguendo con la vita privata di Marchionne; l’originale acquisizione di Chrysler, che da colpo da maestro ora viene posta sulla graticola; le riprese tv di «rapina»; le presunte stecche ai fornitori; la vicenda vecchia di 5 anni (e fatta passare come scoop) dei giardinieri sottopagati che lavoravano nello chalet svizzero dell’amministratore delegato. E poi: dove sono i 20 miliardi promessi per Fabbrica Italia? Anche il numero uno di Volkswagen o Renault cercherebbe di aggirare una domanda del genere, un po’ per motivi strategici, un po’ per garantirsi una certa flessibilità.
Vero è, e lo abbiamo scritto di recente, che Marchionne queste grane e queste trasmissioni se le va però a cercare con un atteggiamento fin troppo esuberante.
Era il caso di anticipare, in piena bagarre sindacale, l’ipotesi di spostare la sede legale del gruppo a Detroit? Era il caso di privilegiare i contatti di alto livello esteri rispetto a quelli italiani, anche sindacali? Era il caso di battere il chiodo sul fatto che all’estero si lavoro meglio che da noi? Va bene essere manager «globali», ma la Fiat è un pezzo di storia d’Italia e senza l’opportunità Fiat, forse Marchionne sarebbe rimasto un grande e benestante manager di qualche multinazionale. E il Lingotto chissà che fine avrebbe fatto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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