"Fiat si tiene l'Alfa: così supereremo i tedeschi"

Marchionne blinda il Biscione e lancia la sfida: "Vinceremo il duello con Volkswagen". Entro l'anno il Lingotto salirà al 51%. Elkann: "Tornati alla nostra vocazione, quella di fare auto". E legge una lettera dell’86 scritta da Iacocca all’Avvocato, per spingere a un’intesa con Chrysler

"Fiat si tiene l'Alfa: così supereremo i tedeschi"

Torino - Sergio Marchionne, pro­vocato da alcuni azionisti in­tervenuti all’assemblea an­nuale della Fiat, ha archiviato a modo suo il rincorrersi di vo­ci sulla vendita di Alfa Romeo a Volkswagen e di Iveco a Dai­mler: «Ho sentito dire che sa­rebbe meglio vendere l’Alfa ai tedeschi - ha risposto - e mi sembra ingeneroso. Bisogne­rebbe chiedere alla Volkswa­gen quali impianti italiani ter­rebbe; è molto bello compra­re un marchio e poi andare fuori a produrre». L’ammini­stratore delegato del Lingotto ha quindi lanciato un messag­gio agli insistenti corteggiato­ri di Wolfsburg: «Non ho alcu­na intenzione di vendere l’Al­fa Romeo alla Volkswagen, an­zi penso che proprio grazie a questo marchio potremo vin­cere nel lungo termine la bat­taglia di concorrenza con i te­deschi». Una dichiarazione coraggiosa, che segue di po­chi mesi quella sulla disponi­bilità di Fiat Industrial (Iveco) a rilevare l’azienda di camion Scania sempre dalla Volkswa­gen, affermazione accolta con disappunto in Germania. «La cosa importante- ha aggiunto Marchionne - è che quello che la Volkswagen potrebbe fare con l’Alfa adesso, la Fiat può farlo con Chrysler».

L’assemblea (l’ultima riferi­ta al gruppo pre-scissione), che ha datto l’ok al bilancio 2010 e alla distribuzione delle cedole in pagamento dal 21 aprile, ha sancito «il ritorno della Fiat alla sua vocazione originale, quella di fare solo auto», ha ricordato il presiden­te John Elkann. E per rafforza­re il concetto, il numero uno del Lingotto, ha letto una lette­ra inviata nel 1986 da Lee Ia­cocca, allora ceo di Chrysler, al nonno Gianni Agnelli. Un messaggio che, visti i risultati dell’alleanza tra Torino e Au­burn Hills, sarebbe attuale an­che oggi. Si legge, infatti, del­l’importanza di poter instau­rare una cooperazione tra le due aziende e «delle comple­mentarietà esistenti». Un as­sist, quello di Elkann, che ha permesso a Marchionne di ri­cordare alla platea l’importan­za dell’operazione Chrysler per il futuro del gruppo. «Non è vero - ha spiegato l’ad - che la Fiat sta “americanizzando” i suoi modelli, perché più del 50% dei volumi prodotti da Chrysler partono da una base europea».

Oltre l’Atlantico, per esem­pio, viene utilizzata la nuova piattaforma che ha dato origi­ne alla Giulietta, mentre i mo­delli targati Chrysler utilizze­ranno i motori italiani MultiA­ir, anche se prodotti negli Usa. E i nuovi Suv di Jeep e Alfa, pro­dotti a Mirafiori, nasceranno sempre sull’architettura crea­ta dagli ingegneri del Lingotto che, grazie alla sua flessibilità, può essere adattata anche a vetture di segmento superio­re e caratteristiche tecniche differenti rispetto alla Giuliet­ta. Su Chrysler, in attesa della trimestrale, Marchionne non ha avuto problemi a dire che nel momento in cui, entro il 2011, Torino salirà al 51% del­la casa Usa, l’assemblea Fiat del prossimo anno dovrà con­siderare i risultati finanziari combinati tra i due gruppi. Nuovi chiarimenti anche sul­l’­iter che porterà alla quotazio­ne di Chrysler, passo che tecni­camente sarà possibile «una volta rifinanziato il Tesoro ed esercitata dalla Fiat la “pri­mary call option”». «Il deside­rio di andare in Borsa - ha os­servato l’ad di entrambi i grup­pi - è dettato dalla volontà del fondo pensionati della casa Usa di monetizzare. L’Ipo di Chrysler, inoltre, dipende dal fabbisogno di liquidità del­l’azienda, e già posso dire che in cassa abbiamo cash supe­riore a quello che ci è stato da­to dal Tesoro». Vero è che Fiat e Chrysler, nel 2014, secondo le stime, varranno ricavi per 100 miliardi. Tornando all’Europa, Mar­chionne ha identificato nel se­condo trimestre, con l’arrivo dei nuovi modelli e un merca­to depurato dallo strascico in­centivi, una possibile risalita della quota e quindi delle ven­dite. Vista la situazione di cri­si, è sempre il Brasile a funge­re da colonna portante per il Lingotto.

«Nel 2011 - ha con­cluso l’ad, rassicurando gli azionisti - la politica dei divi­dendi prevede una distribu­zione nell’ordine del 25% del­l’utile netto consolidato, ma con un pagamento minimo di 100 milioni di euro».

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