Torino - Sergio Marchionne, provocato da alcuni azionisti intervenuti all’assemblea annuale della Fiat, ha archiviato a modo suo il rincorrersi di voci sulla vendita di Alfa Romeo a Volkswagen e di Iveco a Daimler: «Ho sentito dire che sarebbe meglio vendere l’Alfa ai tedeschi - ha risposto - e mi sembra ingeneroso. Bisognerebbe chiedere alla Volkswagen quali impianti italiani terrebbe; è molto bello comprare un marchio e poi andare fuori a produrre». L’amministratore delegato del Lingotto ha quindi lanciato un messaggio agli insistenti corteggiatori di Wolfsburg: «Non ho alcuna intenzione di vendere l’Alfa Romeo alla Volkswagen, anzi penso che proprio grazie a questo marchio potremo vincere nel lungo termine la battaglia di concorrenza con i tedeschi». Una dichiarazione coraggiosa, che segue di pochi mesi quella sulla disponibilità di Fiat Industrial (Iveco) a rilevare l’azienda di camion Scania sempre dalla Volkswagen, affermazione accolta con disappunto in Germania. «La cosa importante- ha aggiunto Marchionne - è che quello che la Volkswagen potrebbe fare con l’Alfa adesso, la Fiat può farlo con Chrysler».
L’assemblea (l’ultima riferita al gruppo pre-scissione), che ha datto l’ok al bilancio 2010 e alla distribuzione delle cedole in pagamento dal 21 aprile, ha sancito «il ritorno della Fiat alla sua vocazione originale, quella di fare solo auto», ha ricordato il presidente John Elkann. E per rafforzare il concetto, il numero uno del Lingotto, ha letto una lettera inviata nel 1986 da Lee Iacocca, allora ceo di Chrysler, al nonno Gianni Agnelli. Un messaggio che, visti i risultati dell’alleanza tra Torino e Auburn Hills, sarebbe attuale anche oggi. Si legge, infatti, dell’importanza di poter instaurare una cooperazione tra le due aziende e «delle complementarietà esistenti». Un assist, quello di Elkann, che ha permesso a Marchionne di ricordare alla platea l’importanza dell’operazione Chrysler per il futuro del gruppo. «Non è vero - ha spiegato l’ad - che la Fiat sta “americanizzando” i suoi modelli, perché più del 50% dei volumi prodotti da Chrysler partono da una base europea».
Oltre l’Atlantico, per esempio, viene utilizzata la nuova piattaforma che ha dato origine alla Giulietta, mentre i modelli targati Chrysler utilizzeranno i motori italiani MultiAir, anche se prodotti negli Usa. E i nuovi Suv di Jeep e Alfa, prodotti a Mirafiori, nasceranno sempre sull’architettura creata dagli ingegneri del Lingotto che, grazie alla sua flessibilità, può essere adattata anche a vetture di segmento superiore e caratteristiche tecniche differenti rispetto alla Giulietta. Su Chrysler, in attesa della trimestrale, Marchionne non ha avuto problemi a dire che nel momento in cui, entro il 2011, Torino salirà al 51% della casa Usa, l’assemblea Fiat del prossimo anno dovrà considerare i risultati finanziari combinati tra i due gruppi. Nuovi chiarimenti anche sull’iter che porterà alla quotazione di Chrysler, passo che tecnicamente sarà possibile «una volta rifinanziato il Tesoro ed esercitata dalla Fiat la “primary call option”». «Il desiderio di andare in Borsa - ha osservato l’ad di entrambi i gruppi - è dettato dalla volontà del fondo pensionati della casa Usa di monetizzare. L’Ipo di Chrysler, inoltre, dipende dal fabbisogno di liquidità dell’azienda, e già posso dire che in cassa abbiamo cash superiore a quello che ci è stato dato dal Tesoro». Vero è che Fiat e Chrysler, nel 2014, secondo le stime, varranno ricavi per 100 miliardi. Tornando all’Europa, Marchionne ha identificato nel secondo trimestre, con l’arrivo dei nuovi modelli e un mercato depurato dallo strascico incentivi, una possibile risalita della quota e quindi delle vendite. Vista la situazione di crisi, è sempre il Brasile a fungere da colonna portante per il Lingotto.
«Nel 2011 - ha concluso l’ad, rassicurando gli azionisti - la politica dei dividendi prevede una distribuzione nell’ordine del 25% dell’utile netto consolidato, ma con un pagamento minimo di 100 milioni di euro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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