Figaro rivoluzionario, l’altro volto delle «Nozze»

Susanna gli appena detto che il Conte d’Almaviva si vuol prendere certe licenze con lei e Figaro esplode. «Non sarà non sarà. Figaro il dice» dando vita alla prima rivolta della borghesia contro la nobiltà. È il 1784 e anche se solo per finta, fa un gran rumore e anche un po’ di paura. Infatti, cinque anni dopo quella stessa borghesia prenderà d’assalto la Bastiglia. Fu buon profeta il parigino Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732–1799), creatore di Figaro e illuminista eclettico: letterato ma anche segretario del re e insegnante di musica delle figlie, affarista, agente segreto, fornitore di armi ai ribelli americani.
Dunque un servo in rivolta contro un grande di Spagna? Ma nemmeno per scherzo! L’opera viene censurata ovunque, Austria compresa. Ma a Vienna avviene l’imponderabile: Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) si innamora della trama e grazie alla sua influenza sull’imperatore Giuseppe II, ottiene una deroga e la porta in scena. La cosa non desti stupore: l’imperatore è un sovrano illuminato, governa da «primo funzionare statale» più che da autocrate assoluto. Stile che appunto passerà alla storia come «giuseppinismo».
Ottenuto l’imperiale consenso, Mozart va in cerca del librettista adatto e lo trova in Lorenzo Da Ponte (1749-1838), un ebreo convertito diventato prete e poi giocatore d’azzardo, libertino, impresario teatrale. Spesso in prigione per debiti, dopo essere passato per Venezia, Vienna e Londra, finisce i suoi giorni in America come commerciante di granaglie, distillatore di whiskey e infine titolare della prima cattedra di lingua italiana alla Columbia University.
Dall’incontro di tre geni, nasce dunque «Le nozze di Figaro» ossia del valletto di Almaviva con Susanna, cameriera della contessa. Il padrone vorrebbe godere delle grazie delle servetta e i due mettono in campo tutte le loro astuzie per aggirare e prendersi burla del conte. Alla fine, costretto ad acconsentire alle nozze, rinunciare a ogni pretesa su Susanna, chiedere perdono alla contessa.
Diventando così l’opera più politica di Mozart. Come non leggere: «Se vuol ballare signor contino/il chitarrino le suonerò» un’aperta sfida all’ordine costituito? Una sfida per altro benissimo intesa dal Conte d’Almaviva che, quando si rende conto di essere finito nelle trame di Susanna-Figaro, reagisce con rabbia: «Vedrò mentre io sospiro, felice un servo mio!».
Nessun dubbio che Mozart abbia saputo intercettare il disagio della borghesia e non solo con le «Nozze». Basti pensare all’aria iniziale di Leporello nel «Don Giovanni» del 1787: «Notte e giorno faticar, Per chi nulla sa gradir, Piova e vento sopportar, Mangiar male e mal dormir. Voglio far il gentiluomo E non voglio più servir...». Ma anche in «Così fan tutte» Despigna, cameriera di Dorabella e Fiordaligi, grida la sua rivolta cantando «Che vita maledetta è il far la cameriera! Dal mattino alla sera si fa, si suda, si lavora, e poi di tanto, che si fa, nulla è per noi.

È mezz'ora che sbatto. Il cioccolatte è fatto ed a me tocca restar ad odorarlo a secca bocca? Non è forse la mia come la vostra?...Per Bacco, vo' assaggiarlo». È il 1790, tre anni dopo in Francia verrà decapitato il re Luigi XVI.

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