FILARMONICA SCALA Venticinque anni suonati

L’apertura con Mahler, come nel 1982

Igor Principe

Come nelle nozze d'argento, quando marito e moglie si guardano indietro per ricordarsi com'erano nel giorno in cui si unirono, nello stesso modo la Filarmonica della Scala celebra i suoi venticinque anni di matrimonio con Milano. Lo spiega con chiarezza il suo direttore artistico, Ernesto Schiavi, presentando la stagione 2006/2007: «Torniamo alle origini, seguendo la linea che ispirò la nascita di questa orchestra: conquistare il repertorio tardo romantico tedesco. Quello, per capirci, che va da Beethoven a Mahler, e che nei geni di un complesso sinfonico è essenziale poiché costituisce il terreno su cui ci si confronta con le altre grandi orchestre. Sarà l'occasione per rivedere quanto è stato fatto sinora».
Non è una precisa linea artistica a dire che quel "quanto" non è poco. Dai tre concerti della prima stagione si è passati ai circa 60 dell'ultima. Che è stata anche la più ricca di abbonamenti, il 70 per cento dei quali riconfermati per quest'anno in due giorni dall'apertura delle sottoscrizioni.
Numeri importanti, di cui tutti sono ormai consapevoli. Soprattutto Stéphane Lissner, sovrintendente della Scala e presidente onorario dell'orchestra. «Venticinque anni sono un tempo lunghissimo anche per un teatro nato nel 1778 - spiega -, soprattutto se occupato da impegni sul fronte lirico e sinfonico. Ma è anche vero che tra quei fronti scorre una linfa che arricchisce sia la Filarmonica che il Teatro alla Scala, e credo che dal teatro derivi ogni sera ciò che consente all'orchestra di non essere confusa nella nutrita folla dei complessi sinfonici di poca qualità. Ecco perché la Filarmonica può contare su di me per ogni sostegno».
Fugata così ogni maldicente ipotesi di rivalità nella stessa famiglia, la stagione del venticinquesimo riparte nei fatti laddove era partita: Gustav Mahler, Sinfonia n. 3. A dirigerla nel primo concerto, gennaio 1982, fu il fondatore, Claudio Abbado. Il prossimo 6 novembre sarà l'enfant prodige Gustavo Dudamel. «È un segno di continuità - dice Schiavi -: artisticamente, Dudamel è un figlio di Abbado. E al contempo rappresenta il nostro impegno nella ricerca e nella promozione di giovani talenti. Penso a Valery Gergiev, che quando debuttò con noi era un po' com'è Dudamel oggi».
Gergiev è un altro dei nomi di eccellenti ritorni, Zubin Mehta e Lorin Maazel. Il primo non dirige la Filarmonica dal 1994, l'altro dal '92. Altrettanti i debutti: Daniel Harding e Gianandrea Noseda.
La presenza di Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung e Daniele Gatti perpetua la viva collaborazione tra quelle celebri "bacchette" e la Filarmonica. Che, in un concerto, lascerà il posto ai sinfonici del Bayerischen Rundfunks e, in un altro, sarà diretta da Bobby Mc Ferrin.


Cosa ci faccia un jazzista sul podio scaligero, lo spiega Schiavi. «McFerrin lavora con i Wiener, ha studiato con Bernstein e Osawa, aveva ammiratori eccellenti come Carlos Kleiber. Ed è un formidabile musicista, con un'estrema capacità di comunicare e suggestionare chi l'ascolta».

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