Parigi 1840. Bellini non c'è più, Verdi non c'è ancora. Rossini, dopo il Tell, s'è ritirato a vita privata in quel «silenzio» che produrrà ancora capolavori ma lontani dal teatro.
La città «banco di prova» è tutta per lui. Gaetano Donizetti. Una vena assai apprezzata dal momento che mentre l'Opéra-Comique gli commissiona La fille du régiment sta lavorando in quattro differenti teatri.
Tra la gioia dei colleghi francesi? Ne dubitiamo. Alla prima dell'11 febbraio 1840 La Fille cade. Ma è un tonfo fazioso. Subito dopo viene infatti riconosciuto il valore di un'opera anche tanto allineata al gusto del pubblico (lingua francese e formula da opéra-comique) da essere considerata una vera opera francese.
Quando in ottobre quella che è ormai La figlia del reggimento arriva alla Scala, il libretto è riscritto in italiano e la forma, tuttora in via di definizione perché manca l'edizione critica, modificata. Orgia di marce, tamburi e festosi rataplan, scritta sulla scia delle campagne napoleoniche ritenute un glorioso capitolo di storia patria, La Fille conta almeno tre momenti di lirismo struggente che Donizetti consegna alla protagonista.
La facilità del libretto (Marie è una trovatella tirata su da un intero reggimento. Ritrovata dalla madre che la credeva morta e destinata a un matrimonio di alto lignaggio riesce ad eluderlo grazie all'irruzione armata dei suoi tanti papà) e il taglio frizzante fanno dell'opera una delle premesse stilistiche dell'operetta francese. Senza nulla togliere. Ad iniziare dalla strumentazione, o dalla purezza belcantistica che regala al tenore (Ah, mes amis) ben nove do sovracuti uno dopo l'altro.
Alla Scala, per scene e costumi di Franco Zeffirelli, regia giramondo di Pippo Crivelli. Una mano che si riconosce. Burberi militari dal cuore di mamma accucciati dietro i divani, Anna Proclemer che arriva impettita su un cavalluccio di legno...
Alla Scala c'era già stata (Abbado '69) e ora la parte è piccola. Ma un piccolo imperioso difficile da dimenticare. Il maggiordomo che sillaba gli improponibili nomi composti della nobiltà tirolese. L'impianto di Zeffirelli (Palermo 59) apre su una stampa che riproduce locandina e fila di orchestrali. Continua con stampe popolari d'epoca, colori mimetici da caserma, coccarde tricolore Vive la France.
Scenografo e regista sottolineano il j'accuse nei riguardi della aristocratica boria. Il re della serata è Juan Diego Flórez (Muti '96, per Armide), il clou in fatto di tenori di grazia.
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