Un filo rosso tra le Br e la mafia del Brenta

Pistole e mitra dopo 30 anni funzionano ancora perfettamente Segno che nel tempo qualcuno le ha curate

da Milano

Gli arsenali non scompaiono. «Continuano a circolare, e continuano con le persone che ci sono». È l’11 giugno scorso. Calogero Diana, brigatista della colonna «Walter Alasia», è davanti al pm Ilda Boccassini. Un interrogatorio di un’ora. Trentacinque pagine di verbale per percorrere il filo rosso che lega vecchie e nuove Br. Le armi, soprattutto. «Armi - ragiona il magistrato - che se non sono mai state sequestrate e sono perfettamente funzionanti anche dopo trent’anni, vuol dire che qualcuno le ha curate». E poi gli uomini che potrebbero averle traghettate durante il «sonno» brigatista. «Non conosco Andrea Tonello (arrestato venerdì, ndr)», racconta Diana. Però «sono evaso assieme a Di Cecco nel settembre dell’86. Eravamo più che amici. Eravamo compagni di organizzazione». Passato e presente. Perché proprio dalle indagini per arrivare a Giuseppe Di Cecco, «coperto» dal boss della mafia del Brenta Felice Maniero «che - scrive il gip Guido Salvini - gli mise a disposizione un appartamento nel padovano», gli investigatori si imbattono per la prima volta in Tonello. È il dicembre del 1988. A distanza di vent’anni, Diana racconta.
«Riconosco di essere stato l’acquirente di queste e anche di altre armi». Il pm Boccassini chiede della pistola Sig Sauer e della carabina Winchester, che dagli Anni di piombo sono arrivate agli uomini delle nuove Br. «Nella fattispecie non so che fine abbiano fatto quelle armi. La Sig Sauer l’avevo portata per un periodo, ma breve. L’avevo provata, sono state provate tutte. La Winchester e la Sig Sauer sono armi perfettamente funzionanti».
«A chi le consegnò all’epoca?», domanda il magistrato. «Senta - risponde Diana -, io all’epoca ero responsabile del Fronte Logistico. Tutte le armi acquistate dovevano essere trasportate lontano, e suddivise tra le varie colonne. \ Non ricordo. La cosa certa è che io non ho dato quelle armi a nessuno di questi ragazzi qui, comunque». «Il fatto che queste armi - domanda il pm - si trovano dopo trent’anni, cosa può significare per lei?». Diana non fa nomi, ma spiega il meccanismo. «Ricostruire il percorso di determinati oggetti, armi, ma anche di documenti... È chiaro che se non sono stati ritrovati con noi continuano a circolare con le persone che ci sono. Ora sapere chi c’è, questo è un problema, nel senso che io mi sono stupito sentendo dei nomi, adesso non mi faccia dire quali, ricordavo di averli conosciuti e chiedevo “è possibile?”, perché per me sono inaffidabili». Ancora, «la CZ (un’arma cecoslovacca, ndr) che avevo io veniva dalle storie partigiane, insomma, e molte altre armi venivano da quella fonte. Dopo trent’anni vengono da un’altra fonte». Domanda il magistrato: «Non c’è stato nessun approvvigionamento di armi dagli ex Paesi dell’Est?». «Per quanto riguarda me - garantisce Diana - sicuramente no».
Le armi e gli uomini. «È importante capire come questa cultura continua a esserci», aggiunge il brigatista. E il legame va costruito ovunque, anche in carcere. La memoria torna agli anni della reclusione. «Noi - spiega - ci ritroviamo tutti negli speciali e negli speciali ci troviamo tutti organizzati, perché in ogni posto, in ogni struttura, in ogni istituto noi dovevamo necessariamente organizzarci. E quindi c’era un sistema, c’erano i Comitati di Lotta. Lì ho avuto modo di conoscere sia Salvatore Scivoli, sia Alfredo D’Avanzo. \ Ghirardi l’ho vista a Milano, perché doveva avere dei collegamenti con noi. \ Claudio Latino l’ho sentito, se è stato detenuto sicuramente... Perché noi giravamo spesso, quindi bene o male non è stato difficile incontrarsi». «Lei ha mai conosciuto Andrea Tonello?» chiede il pm. «Non mi dice niente. La colonna padovana nasce dopo il mio arresto. Sapevo che c’era in piedi qualcosa, lì c’era un comitato, c’erano dei compagni». Però Diana conosce Di Cecco. «Lui è andato via di nuovo da Fossombrone insieme a Maniero e agli altri. Eravamo compagni della stessa organizzazione, poi ci siamo separati». E il pm torna agli anni ’90. Al ritrovamento di una valigia in cui ci sono armi e documenti.

In uno di questi, l’elenco di quattro «colli» mai ritrovati, scritto da Di Cecco: «Inchiesta, armi, munizionamento, Dc». «È la prima volta che lo sento», risponde Diana. «Se faccio queste domande - conclude la Boccassini - è perché c’è qualcosa che mi lega con questo filo nel 2007...».

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