Letteratura

In finale allo Strega il libro che giustifica Acca Larentia

Nella dozzina c'è "Dalla stessa parte mi troverai". Racconta l'omicidio di due missini, senza pietas

In finale allo Strega il libro che giustifica Acca Larentia

Non c'è Premio Strega senza polemica. La polemica che scoppia quest'anno, sin dalla scelta dei libri per la dozzina (ben diversi dai più di 80 proposti che possono essere in lizza anche per la segnalazione di uno solo dei giurati), però è un po' diversa e ben poco letteraria. Parte dal Secolo d'Italia e da un articolo di Annalisa Terranova. Il titolo nella sua brevità riassume bene: «L'odio politico macchia il Premio Strega. Il romanzo revisionista su Acca Larenzia nella dozzina dei finalisti». Il nodo del contendere è il romanzo di Valentina Mira pubblicato per i tipi di Sem: Dalla stessa parte mi troverai. Partiamo dai fatti ridotti all'osso e deideologizzati per quanto umanamente sia possibile.

Sono circa le 18 e 20 del 7 gennaio 1978. Cinque giovani missini escono dalla sede dell'Msi in via Acca Larentia a Roma per un volantinaggio del concerto del gruppo di musica alternativa di destra Amici del Vento. Sono investiti dai colpi delle armi automatiche impugnate da un commando di cinque o sei persone. Uno, il ventenne Franco Bigonzetti, iscritto al primo anno di medicina, rimase ucciso sul colpo. Lo studente diciottenne Francesco Ciavatta, pur ferito, tenta di fuggire lungo la scalinata a lato della sezione ma lo inseguono, è colpito nuovamente alla schiena; muore in ambulanza. All'aggressione seguono violenti scontri tra i militanti del Msi e le forze dell'ordine. Ci scappa un altro morto: Stefano Recchioni. Nessuna indagine riuscirà mai a chiarire chi abbia fatto partire il proiettile che lo colpì alla testa.

Qualche giorno dopo l'agguato fu rivendicato in una cassetta audio dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale, una sigla dell'eversione di sinistra sino a quel momento sconosciuta. «Un nucleo armato, dopo un'accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri...». Le indagini brancolarono nel buio per anni sino a che una presunta pentita, Livia Todini, formulò accuse che portarono all'arresto di 4 indiziati: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari e Francesco de Martiis. Daniela Dolce, l'ultima accusata, scappò all'arresto fuggendo in Nicaragua. Mario Scrocca perse la vita in cella, in circostanze mai chiarite ma con la dinamica apparente del suicidio. Il quarto morto di questa assurda vicenda. Tanto più che gli imputati vennero prosciolti per insufficienza di prove.

Il lettore scuserà il corposo inciso, ma era necessario, visto che il romanzo è in larga parte incentrato sulla storia d'amore tra Mario Scrocca e la moglie Rossella, una storia d'amore spezzata in modo inaccettabile perché nessun detenuto dovrebbe morire in carcere, il che vale ancor di più per qualcuno che, in nessun modo, è stato provato essere colpevole. Dopo di che, secondo quello che racconta Annalisa Terranova sul Secolo d'Italia l'autrice Valentina Mira non fa mistero, lo avrebbe fatto in pubblico durante il festival letterario (molto di sinistra) Sheerbocks, di considerare l'omicidio dei due fascisti poco più che ordinaria amministrazione, come se fosse soltanto la morte di Scrocca ad essere inaccettabile. Del resto il concetto ritorna anche nel libro espresso con sconcertante banalità: «Mentre escono dalla sezione, due di loro vengono ammazzati. Gli sparano. Sono anni in cui si uccide. Sono anni in cui loro sono i primi ad ammazzare». Ma loro chi? Come se i militanti del Msi fossero tutti uguali, fossero tutti necessariamente dei violenti. L'Msi era un partito dell'arco costituzionale esattamente come il Pci. Ovviamente se questa frase fosse stata scritta da destra su dei militanti di sinistra, che non sono automaticamente dei terroristi come è ovvio, si sarebbe scatenato l'inferno. E in questo caso però l'inferno non c'è.

Anzi c'è la candidatura al Premio Strega. Il libro è stato presentato dal giornalista Franco Di Mare come un libro che si schiera «dalla parte del giusto (che non coincide sempre con la giustizia) da quella della Storia (che non sempre la racconta com'è andata) da quella delle vittime (che non possono condividere le responsabilità dei carnefici)». Beh onestamente leggendolo: mica tanto. La vicenda, complessa, viene vista solo dal lato di chi ha sentito il tremendo e comprensibile dolore per la morte di Scrocca. Ma le altre vittime diventano quelle che se la sono cercata e fine. E il loro ricordo solo revanscismo di destra (per carità ci sarà anche un uso politico, c'è anche della Resistenza e senza vergogna). Non proprio le sfaccettature che ci si aspetterebbe dalla grande letteratura: la lezione di I sentieri dei nidi di Ragno di Calvino a confronto... Per carità ai premi si vota chi si vuole. Però in questo libro di pietas non ce n'è. E magari l'autrice è scusabile. Nel suo precedente lavoro, molto autobiografico X (uscito per Fandango) racconta dello stupro che ha subito, non creduta, da un ragazzo con la celtica al collo. Il personale pesa sempre ed è politico.

Ma i giurati di un premio dovrebbero esercitare altre forme di giudizio.

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