Eh già, adesso ci danno ragione, un mese dopo che (e lo vedete qui sopra) Il Giornale aveva denunciato lo scandaloso comportamento dei tifosi nei confronti di Mario Balotelli, non - chiariamolo bene - in quanto Balotelli, ma in quanto «negro di m...». Ci hanno dato ragione tutti - colleghi, dirigenti, presidenti -, ma soprattutto ci ha dato ragione il giudice sportivo Tosel, che invece della solita ridicola multa ha finalmente comminato una prima sanzione rispettabile per un comportamento da terzo mondo: la chiusura dello stadio per un turno. E di questo - va detto subito - bisogna ringraziare gli uomini della Procura federale. Se a Farina, larbitro di Juve-Inter, che al termine di una direzione di gara esemplare, avevamo dato 7, va dato un 10 ai collaboratori di Stefano Palazzi che hanno raccontato con precisione cronometrica nel loro referto la triste notte dellOlimpico: «Considerato che nel corso della gara - si legge - in molteplici occasioni (con particolare riferimento ai minuti 4, 26, 35, 41 42 del primo tempo e 11, 19, 22, 25, 30 del secondo tempo) ...».
Detto questo, qui di lato potete leggere un estratto di due delle lettere arrivate in redazione sullargomento: le abbiamo scelte come rappresentative di quel «ma anche» che ormai impera in certa società italiana. In sintesi: è vero che hanno insultato Balotelli per il colore della pelle, ma lui se la va a cercare.
No, cari lettori, pur rispettando tutte le ragioni e le opinioni, questo non possiamo proprio farlo passare, perché la questione non è cadere nella «retorica del razzismo» e indignarsi perché fa chic: noi ci indigniamo di quelli che di solito si indignano contro i razzisti e poi vanno allo stadio - «donne e padri di famiglia» dice La Stampa di ieri - a vomitare tutto il becerume contro cui di solito gridano allo scandalo. Perché il problema è questo: il «lui se lè andato a cercare» non è accettabile, qualsiasi sia stato il comportamento di Balotelli, così non deve più essere accettabile il «figlio di...» o il «devi morire», se almeno pensiamo che lo stadio di calcio faccia parte del territorio di uno Stato civile.
A Torino, hanno raccontato i nostri inviati, si è vissuta una serata allucinante: il «Balotelli negro di m...» non è cominciato al primo dispetto dellattaccante interista, ma allentrata del pullman nerazzurro allo stadio. Era preventivo e preventivato. Né si può giustificare Legrottaglie che fa il cacciatore di pecorelle smarrite moraleggiando in tv contro SuperMario (lui in campo invece porge sempre laltra guancia...) o chi invece giustifica Tiago per lintervento da cartellino rosso con il fatto che Balotelli lo avesse irriso con due finte. Ripeto: non è per difendere Balotelli, ma per condannare linciviltà.
Perché adesso che ci siamo tutti indignati, giudice sportivo incluso, proviamo a ricordarci che quanto successo sabato sera non è una proprietà dei tifosi della Juventus, né di quelli della Roma e della Fiorentina per i quali avevamo posto il caso un mese fa. È invece unabitudine radicata nei nostri stadi, succede tutte le settimane in varie forme - dal «bu, bu» al «non ci sono negri italiani» - e la gente ridacchia dandosi di gomito o quantomeno non interviene, comè successo a Torino e comè scritto nel referto che ha portato alla squalifica del campo bianconero. E in campo intanto ci sono ragazzi che soffrono, che magari non hanno ancora unetà per gestire lignobiltà altrui, ma che se reagiscono entrano di diritto nel mondo del «ma anche».
Per cui giusto che il presidente Moratti, tra laltro molto sensibile ai problemi del razzismo con le iniziative di Inter Campus, si sia indignato tanto da dire «se fossi stato lì avrei ritirato la squadra». Ma giusto anche ricordare per esempio che quando - proprio in una partita contro lInter nel novembre 2005 - il difensore del Messina Zoro voleva lasciare il campo per il «negro di m...
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