Finanziaria buona, quella perfetta non esiste

Qualche scontento ci sarà sempre, ma l'esecutivo ha migliorato il decreto. Bisogna risanare i conti per i nostri figli

Finanziaria buona, 
quella perfetta non esiste

Quando un governo si mette in mente di fa­re una manovra fiscale da 130 miliardi di euro è difficile che un contribuente me­diamente onesto alzi la mano e dica: «Pfiuuuu scampata, a me non mi hanno beccato».Il governo Berlusconi si deve dunque met­tere l’anima in pace: in un modo o nell’altro ha inciso nella carne viva di questo paese. Rimettere a posto i conti è impopolare: ci fa tornare con i piedi sulla ter­ra. Le ultime modifiche l’hanno decisamente miglio­­rata, ma il punto resta un altro. Questa botta, alme­no, serve a qualcosa? Vediamo, alla luce di come è sta­ta rettificata, quali sono gli spunti interessanti. 1.Crescita.Anche i bambini all’asilo oramai ripeto­no il mantra dell’economicamente corretto. È neces­sario puntare sulla crescita. Bella idea.

Ma il proble­ma è che la crescita non si fa per decreto del governo. Obama ci ha provato, immettendo nell’economia americana duemila miliardi di dollari, gonfiando co­sì il debito pubblico. Il risultato è che la disoccupazio­ne è rimasta alta, il prodotto non ha fatto un balzo, e oggi si trova nei guai. In questo Tremonti ha ragione da vendere quando dice che «non si può fare Pil con il deficit». Portare in pareggio il bilancio, non per i mercati, ma per le future generazioni è sacrosanto. La politica deve però creare le condizioni per cui i privati si mettano a correre, e possibilmente senza molti ostacoli: giustizia da terzo mondo, regole da cruciverba, corporazioni da medioevo.

La supermanovra del Cav non ha brillato in questo obiettivo. 2. Spesa pubblica. Per tenere il bilancio in pareggio, atteggiamento che è da pretendere dal buon padre di famiglia, ci sono due vie. Ridurre le spese pubbliche (800 miliardi previsti nel 2011) o aumentare le entrate (740 miliardi nel 2011). La terza via è fare debiti, cioè la stessa strada adottata negli ultimi quaranta anni. Ebbene è evidente (molti studi lo dimostrano empiricamente) che per la crescita di un paese è preferibile spendere un euro in meno piuttosto che pretenderne uno in più dai contribuenti. Un euro in più in tasca ad un privato mettein moto l’economia in modo più efficiente e produttivo del medesimo euro speso da un’amministrazione pubblica con logiche fuori mercato.

È questo il motivo fondamentale per il quale ieri il vicedirettore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha chiesto una riduzione della spesa pubblica e non già un inasprimento dell’imposizione fiscale, già a livelli lunari. Ridurre la spesa e riempire le tasche dei contribuenti oltre che ad una logica puramente economica, risponde anche ad una esigenza di libertà. Che paese è quello che sequestra più del 50 per cento del reddito individuale in imposte e gabelle? Gran parte della spesa pubblica (240 miliardi nel 2010) è fatta dalla spesa pensionistica. Tutti i governi sanno che è lì che si deve agire. Più passano gli anni e più i diritti diventano acquisiti e dunque intoccabili. La strada maestra è quella di allungare l’età pensionabile.

Il trucchetto adottato dinonconsiderare aifini dell’anzianità contributiva laurea e militare di fatto porta allo stesso risultato, anche se riferito ad una platea piuttosto ristretta di interessati e riguarda le sole pensioni di anzianità. 3. Entrate.Cancellare il contributo di solidarietà è sacrosanto. Sul Giornale abbiamo già scritto i sette motivi principali per i quali tecnicamente essa era un’assurdità. Resta da ribadire il principio generale. La bestia (che in questo caso non è lo Stato, ma il lavoratore) se viene ancora caricata di pesi, stramazza al suolo. Non si può pensare di gravarla di gabelle all’infinito. Il paradosso di chiedere un contributo straordinario proprio a coloro che maggiormente già lo danno allo Stato è infelice. Si parla tanto di evasione, ma poi si bastona proprio quella fascia che non evade. Una roba da pazzi. Per di più la supermanovra del Cav è fatta per due terzi di aumento delle entrate e per il restante di riduzione delle spese. Così come lo sono state tutte le manovre monstre degli ultimi decenni: da quella di Amato a quella di Prodi. Forse in Costituzione, oltre al progetto di tetto alle spese lanciato dall’Ibl,si dovrebbe inserire una clausola di salvaguardia assoluta per il contribuente. Del tipo: «Nessun italiano può dare allo Stato, in qualsiasi sua articolazione, più del 40 per cento del suo reddito annuo». E siamo già stati larghi. ps. Il Giornale non è mai stato tenero con le storture della pubblica amministrazione, con i suoi numeri e con le sue sciatterie.

Ma ci chiediamo: siamo sicuri che il mantenimento del contributo di solidarietà (aggravato dalla sua indeducibilità) sia corretto per i 26.

500 dirigenti pubblici (licenziabili grazie allo spoil system) che guadagnano più di 90mila euro? Siamo sicuri che questo sia il modo migliore per far funzionare l’apparato pubblico? Siamo certi che il gettito di 26 milioni che questa manovra garantirà non rappresenti un disincentivo ad attirare gente di mercato nei nostri alti uffici pubblici? Una riforma meritocratica della pubblica amministrazione piuttosto si tiene care le competenze eccellenti e fa pulizia di quelle inutili. Insomma per il pubblico, nel bene e nel male, dovrebbero valere le stesse norme del privato. O no?

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